Voci della seconda guerra mondiale

LA LUNGA ODISSEA DI WANDO BAROZZI

Vando Barozzi

Wando Barozzi, classe 1923, prestò servizio nella Reale Marina dal febbraio 1943 fino al dicembre 1945, quando la guerra era ormai conclusa da parecchi mesi.
Era nato a Dumenza ed aveva perso la mamma all’età di cinque anni; era stata la nonna Regina Zaccheo ad occuparsi di lui e della sorella Bruna.
Di ritorno dal servizio in marina, lavorò prima alla Viscontea di Luino ed in seguito in Francia, presso la Citroen di Parigi fino al suo matrimonio con Giuliana Galuzzi di Colmegna.
Rientrato in Italia, rivestì ruoli di primo piano come caporeparto nel settore della meccanica, presso la ditta Bianchi di Germignaga, presso la ditta Menotti, sempre a Germignaga, presso la MV reparto moto da corsa ed elicotteri a Cascina Costa.
Dal suo matrimonio sono nati due figli: Lucia ed Alessandro.
Nel 1983 fu costruito accanto alla Cappella di S. Rita a Colmegna un campaniletto sul quale fu installata una campana che al calar della sera avrebbe fatto sentire la sua voce per ricordare i Caduti di tutte le guerre ed in perenne auspicio di pace.
Wando, forse tenendo fede alle promesse fatte ai compagni periti durante l’ultimo conflitto, prima che l’impianto venisse elettrificato, si accollò l’incarico di suonare lui stesso al tramonto la campana dei Caduti, non mancando mai all’impegno assunto.
Wando ci ha lasciati il 22 dicembre 2009.
Di lui rimane un diario che ripercorre le tappe del suo vagare sui mari, insidiati dai sommergibili e dai bombardamenti aerei.
È il diario di un giovane di vent’anni che vive tutte le contraddizioni di uno dei periodi più tormentati della nostra storia recente.
Educato agli ideali di Patria e fermamente determinato a tener fede al giuramento di fedeltà alla Casa Savoia, fatica non poco ad orientarsi in una situazione in cui i nemici di un tempo si trasformano improvvisamente ope legis in scomodi alleati.
Nei suoi scritti risuona insistente la parola speranza, una specie di mantra finalizzato ad esorcizzare la paura e ad alimentare il sogno di una vita serena, nel suo paese natio e tra gli affetti più cari.
La lunga assenza di notizie della propria famiglia, dopo la spaccatura del Paese in due tronconi, lo fa immensamente soffrire.
La sola congettura che i nazi-fascisti possano nuocere alla sua famiglia innesca in lui un vortice di sentimenti di odio e di vendetta giustizialista.
Vendetta e giustizia sono le facce di un’identica medaglia, un boccone amaro che i nemici della Patria, responsabili del suo sfacelo, dovranno, loro malgrado, ingoiare.
Wando non tollera la presenza del piede straniero in territorio italiano.
Anche se non sembra esserne al corrente, intuisce lo scempio perpetrato dai nazi-fascisti nei confronti degli oppositori politici e degli incolpevoli Ebrei.
Non mancano nel diario riferimenti a momenti goliardici della vita militare e ad una esuberanza giovanile che si manifesta nella spasmodica ricerca della presenza femminile a lungo negata a chi è costretto a trascorrere settimane e mesi in mare.
Lo consola il pensiero che al paese natio la sua «bimba» lo aspetta con intemerata fedeltà.
Nel fondo del suo animo si inabissa il ricordo della prematura scomparsa della madre: un amore che si perde nei meandri della memoria, ma proprio per questo acquista un fascino struggente che lo accompagna nei momenti più bui della vita.
Wando vagheggia il ritorno alla sua Itaca montana, alla sua Dumenza, potentemente trasfigurata in un luogo di sogno, ormai lontano dalla concretezza del reale.
In quest’oasi i contrasti chiaroscurali si affievoliscono in un melange in cui le tinte si attenuano e le forme perdono gradatamente la loro consistenza.
Dumenza, meta agognata di un ritorno che sembra via via allontanarsi nel tempo.
L’imperativo categorico del dovere, accettato fino alle estreme conseguenze per la salvezza della Patria, fa da contenitore ad una sorda ribellione che si manifesta attraverso una rilettura critica degli eventi di cui Wando è testimone e protagonista.
Un sentimento religioso autentico alimenta in lui la certezza che i numi tutelari della sua terra natia, la Madonna di Trezzo o quella delle suore di Dumenza, lo proteggeranno contro le insidie nemiche e gli concederanno di ritornare tra i suoi monti e il suo lago.
Lasciamo però la parola allo stesso Wando.
8 settembre 1943
«Inizio queste mie note sulla mia vita che trascorro a bordo di questo incrociatore in un giorno che resterà memorabile nella storia ed anche nel resto della mia vita.
Voglio riassumere però in breve questi sette mesi di marina.
Infatti si compiranno dopodomani, giorno dieci, sette mesi esatti da che ho avuto l’onore di venire a far parte della gloriosa grande famiglia che è la Regia Marina.
Venni alle armi il 10 febbraio 1943, in un giorno piovoso, con due altri miei compagni che poi persi di vista perché imbarcati su altre navi.
Mi presentai al deposito di Spezia dove trovai qualche mio amico che prima di me era già militare e lì si compirono le prime pratiche della mia iniziazione alla marina.
Infatti la rasatura dei capelli, il primo rancio nella gamellina, la vestizione, le varie visite sono tutte pratiche che compii quando cominciai ad essere recluta.
Poi mano a mano che si cominciava ad ambientarsi, ci si trovava di più a proprio agio.
La nostalgia per la casa e per le persone care, particolarmente acuta in quei giorni, si andò un po’ più attenuando quando cominciai a ricevere le prime lettere.
Care lettere che mi riportavano con il pensiero ai miei monti, al mio paese ed al mio bel lago.
Poi venne il momento per l’imbarco preceduto dal primo attacco aereo da parte dei nemici.
Un fatto che mi scosse un po’, ma non eccessivamente, perché non sono affatto un pauroso, ma l’impressione della prima volta fu abbastanza forte.
Poi, come dissi più sopra, venni destinato ad essere imbarcato e la sera del 21 febbraio, con un gruppo di miei compagni fummo caricati su di un treno per Taranto dove si trovava il “Duca d’Aosta” sul quale dovevamo prendere imbarco.
Un viaggio abbastanza lungo, durante il quale ebbi modo di transitare da tutti i migliori luoghi della riva tirrenica.
Livorno, Roma (in quest’ultima ci fermammo solo qualche minuto) e le belle terre campane si susseguirono ai miei occhi costantemente incollati al finestrino per meglio ammirare.
Poi la sosta nella bella Napoli che ebbi agio di visitare un po’, dato che ci fermammo in attesa della coincidenza ferroviaria.
Ammirai le belle vedute ed i meravigliosi luoghi che fanno da corona a questa regina del Tirreno.
Ma purtroppo dovetti vedere anche l’opera distruttrice dei bombardamenti su tanti palazzi ed opere d’arte irrimediabilmente distrutti e danneggiati.
Poi il viaggio fra gole paurose e i monti di Potenza, seguiti dal meraviglioso golfo di Salerno e dalle ubertose campagne di Battipaglia ed infine, al mattino del 24 febbraio, arrivammo nella città che doveva essere la meta del nostro viaggio: Taranto con le sue doti di città marinara, ma anche con i suoi difetti di abitabilità e di antipatia per noi marinai.
Infatti durante tutta la mia permanenza in quella città potei constatare che tutto quanto si diceva di questa gente non era affatto esagerato.
Non voglio descrivere le impressioni del mio imbarco sulla nave che fino ad oggi mi ospita e alla quale voglio bene quasi quanto alla mia casetta di Dumenza.
L’imbarco avvenne alle dieci circa del mattino e provai una certa impressione a porre piede su questo grande bastimento, opera così potente e temuta dal nemico.
(L’ "Aosta", infatti, Incrociatore “Emanuele Filiberto Duca D’Aosta”’ dalla radio britannica è stato dato affondato almeno quattro volte sì da meritare il nomignolo di nave fantasma ).
I primi giorni della vita di bordo furono alquanto ardui per l’adattamento che ne doveva derivare per me che non ero mai vissuto sulle navi che conoscevo per averle viste solo da terra.
Poi, passato il periodo di addestramento, fruii della mia prima licenza.
Arrivai a casa dopo un bel viaggio lungo tutta la litoranea adriatica, il giorno 10 aprile e si può immaginare quale fu la mia gioia nel rivedere i miei cari e tutti gli amici dai quali mi sembrava di essere stato lontano da parecchi anni, mentre invece non erano trascorsi che due mesi.
Dopo i bei giorni passati in licenza, venne purtroppo anche il giorno del ritorno alla nave.
Che minuti commoventi passai quando quella sera mi recai a salutare i miei.
Vidi chiaramente quanto era grande il bene che mi vogliono e sentii un grande dispiacere nello staccarmi nuovamente da loro.
Confesso che, quando il treno cominciò a muoversi, piansi.
Sono sicuro però che non sono stato dimenticato, dato che la corrispondenza con loro è sempre stata intensa ed affettuosa.
Ma la corrispondenza che mi faceva particolarmente piacere era quella della mia “bimba” con la quale ho riattivato la relazione di una lontana estate.
Le sue espressioni di affetto, che ritengo sincere, mi hanno procurato la gioia di essere veramente amato.
Anch’io ho ricambiato tale affetto con il mio amore più grande, perché per me rappresenta la ragazza ideale e spero che le mie attenzioni siano ben accolte.
Ne sono sicuro perché ancora ieri ho avuto una sua lunga lettera che mi ha riempito il cuore di felicità.
Ma torniamo a noi.
Dopo il lungo viaggio di ritorno, arrivai a Taranto la mattina del 20 dove ritrovai la mia nave già avanti nei lavori di riparazione.
Venni destinato in segreteria, dove sono tuttora e nella quale passo la maggior parte della mia giornata.
Si susseguirono, nei giorni successivi, celeri i lavori e anche le franchigie a terra durante le quali imparai a ben conoscere Taranto e le sue immondizie.
Però in qualche zona della città nuova, qualche bell’angolo c’è, dove ci si può divertire.
Parlo dei vari cine-teatri, dei giardini e della spiaggia.
Infine, dopo le varie prove di collaudo, venne il giorno in cui la nave fu pronta e, dato che il nemico incalzava in Tunisia, fu necessario trasferirla in Alto Tirreno, al sicuro nei porti liguri.
Venne così la mia prima navigazione in guerra che iniziò la sera del 10 giugno 1943 con la partenza da Taranto.
Dopo una lunga navigazione, durata due giorni e due notti, durante la quale ebbi modo di vedere i vari porti della Calabria e della Sicilia che si intravedevano nella nostra rotta, arrivai a La Spezia, il giorno 12 giugno.
Fu una navigazione abbastanza bella, favorita per un buon tratto dal mare calmo.
Ma nel Tirreno, quando il mare si fece attivo, allora sì che ne passai delle belle.
Soffrii così per la prima volta il mal di mare che è un po’ l’ossessione di quando la nave comincia a ballare sotto la furia delle onde.
Che ore simpatiche trascorsi! Sempre in lotta con il mio stomaco che non voleva assolutamente tenere giù nemmeno una briciola di quello che mangiavo e lo rimandava su, sì che io ero ridotto ad uno straccio.
Come Dio volle, il mare si calmò ed anch’io cominciai a star meglio.
Certo che la prima volta in cui ebbi a misurarmi con il rollio ed il beccheggio fu un disastro.
Ci feci poi l’abitudine ed ora non lo sento quasi più.
Arrivammo dunque a Spezia il 12 giugno e anche lì mi ambientai subito.
Trovai a terra degli amici e con loro passai le franchigie in città.
Facemmo poi qualche franchigia nel paesetto di Lerici, dove trovai qualche ragazza discreta.
Uscimmo qualche volta in mare per esercitazioni e tiri e, finalmente, il 14 luglio, dopo vari giorni di caldaie sotto pressione, partimmo per il trasferimento a Genova dove tuttora siamo.
Intanto gli Inglesi sbarcarono in Sicilia e noi aspettavamo l’ordine di partire, ansiosi di poter combattere per la difesa della Patria, ma l’ordine non venne e noi dovemmo rimanere in porto, mentre i nostri fratelli si battevano da prodi nelle assolate terre sicule.
L’occasione venne circa un mese più tardi.
Intanto si andava a diporto per Genova, cercando di divertirci il più possibile, perché si sapeva che qualche cosa di grosso era per aria.
Feci conoscenza di Genova, visitandola nei più svariati luoghi, dalle grandi piazze De Ferrari e Corvetto, alle spaziose vie XX settembre, al quartiere di Portoria e alla città vecchia.
In quel periodo di permanenza imparai a conoscerla bene ed a frequentare la sua popolazione e soprattutto le belle ragazze che vi sono numerose.
Feci parecchie piacevoli conoscenze, ma il mio pensiero era sempre a Dumenza, dove la mia ragazza certamente mi aspettava fedele e me lo dimostrava con le sue belle lettere che mi erano particolarmente gradite.
Le scrivo spesso affinché sappia che il mio ricordo è sempre rivolto a lei.
Giunse così il 6 agosto: giorno in cui venne l’ordine di partenza per un’azione contro il nemico nel mare di Sicilia.
Noi soli con un altro incrociatore, il “Garibaldi”, prendemmo il mare alla volta del naviglio avversario.
Dopo una breve sosta alla Maddalena (Sardegna) per rifornimento, ripartimmo alla volta del sud.
Il mattino dell’8 agosto, mentre magari i miei a casa si accingevano a trascorrere una domenica di riposo, prendemmo contatto con un convoglio nemico.
Ma ci eravamo troppo spinti sotto la costa africana e dopo aver fatto cambiare rotta al convoglio, infliggendogli qualche perdita coi nostri cannoni, verso il porto di Bona, venne l’ordine superiore dell’Ammiraglio di tornare indietro.
Fu a malincuore che si ubbidì, giacché si era presentata una buona occasione per farci onore, ma sapemmo poi che eravamo stati scoperti da una soverchiante formazione nemica, contro la quale non ci sarebbe stato niente da fare e, avutone l’ordine dal ministro mediante radiogramma, fummo costretti a scansare con astuzia i nemici, disimpegnandoci, senza nessun danno, da un incontro che sarebbe stato senz’altro dannoso per la marina italiana, dato l’esiguo numero delle navi da guerra rimaste.
Il nostro animo era di accettare il combattimento, ma la necessità ci costrinse a dileguarci all’orizzonte alla volta della costa italiana.
Arrivammo a Spezia il 9 agosto e, dopo 24 ore di sosta, ripartimmo alla volta di Genova.
Ma fu durante questo breve tratto di navigazione che successe il fatto più tremendo al quale io abbia mai assistito.
Mi trovavo in coperta dopo essere smontato dalla guardia, quando, dopo un’ora circa di navigazione, gli aerei di scorta segnalarono con colpi di mitraglia le scie di tre siluri che erano stati lanciati contro di noi da un sommergibile nemico in agguato, non visto in quelle acque.
Qui si affermò la valentia del nostro comandante il quale, infatti, con abile manovra, schivò i siluri che ci passarono due di prora e l’altro di poppa.
Un cacciatorpediniere che ci aveva scortato da Spezia fino a lì con altri due, il "Gioberti", non vide la nostra manovra e così ricevette i due siluri da noi schivati in pieno e saltò come una bomba.
Che scena terribile! La bella nave, probabilmente colpita nel deposito munizioni, si spezzò in due.
La parte poppiera sprofondò subito, mentre la rimanente prodiera proseguì per circa 50 metri incendiata.
Poi si inclinò sul fianco e dopo due minuti cominciò ad affondare alzando la prora in alto e sprofondando a picco.
Confesso che un brivido gelido mi percorse la schiena nel vedere un sì terribile episodio.
Poveri ragazzi che erano imbarcati su quel C.T.
Dalle prime constatazioni si appurò che solo circa 30 uomini di 180 di equipaggio si salvarono.
E dire che si era prossimi alla meta e si cominciava già a fare i primi preparativi per l’arrivo in porto.
Questo fatto dell’affondamento del “Gioberti” mi resterà sempre scolpito nella memoria, perché fu la prima nave da guerra che vidi affondare e mi fece molta impressione.
Speriamo che la Madonna di Trezzo mi protegga sempre da lassù, come ha sempre fatto finora, e che permetta che io ritorni al mio bel Dumenza.
Arrivamno in porto la sera medesima e da allora fino ad oggi in navigazione siamo usciti una sola volta con l’“Abruzzi” e il “Garibaldi” per i tiri di esercitazione.
Sono uscito ancora in città in franchigia, mi sono sempre divertito, ma il mio pensiero è sempre andato a Trezzo in ringraziamento alla Madonna che mi ha sempre protetto e al mio Dumenza, dove spero di ritornare per ferragosto, certo che i miei cari e particolarmente la mia “bimba” mi aspetteranno senz’altro ansiosamente.
Ecco così riassunti in breve i miei primi sette mesi di marina.
Ora narrerò gli avvenimenti che si sono susseguiti in questa indimenticabile giornata dell’8 settembre.
Erano circa le diciotto e mezzo ed ero sopra castello a respirare un po’ d’aria fresca dopo le lunghe ore passate nell’afosa segreteria.
Stavo conversando con un amico milanese dei guai che avevano combinato i bombardamenti nemici su Milano, quando ad un tratto sentiamo i marinai di terra della difesa contraerea che gridano e si abbracciano.
Meravigliati ci domandiamo cosa possa essere successo e non tardiamo ad avere risposta.
Infatti, dalla centrale radiofonica della nave vediamo uscire di corsa alcuni compagni che gridano: “La pace! Badoglio ha chiesto l’armistizio!”.
Al momento non ci crediamo, perché ci sembra un fatto non possibile, ma poi ci precipitiamo con gli altri in ascolto presso l’apparecchio radiofonico ed è con grande commozione che apprendiamo il proclama di Badoglio.
Indescrivibili sono le scene di esultanza che succedono a bordo.
Chi si abbraccia, chi canta, insomma ognuno è contento che questa guerra, pur non essendo favorevole allo sfortunato valore italiano, sia terminata.
E si parla di congedo e si cominciano i primi piani di quello che si farà nei prossimi giorni quando torneremo alle nostre case.
Ora è tardi, sulla nave tutto è silenzio, qualcuno bisbiglia al compagno le proprie intenzioni sull’indomani.
Io però non posso dormire e così ho preso quaderno e penna e mi sono messo a scrivere il diario di questa mia breve vita militare che spero stia per finire.
Penso a casa.
Certamente al mio paese saranno tutti contenti che sia finita quest’angoscia che da 39 mesi durava in tutte le mamme d’Italia.
Penso a mio padre che mi aspetterà con ansia, a mia nonna e a tutti i miei parenti che presto rivedrò e riabbraccerò.
Ma una persona mi si affaccia nel ricordo: la mia bella ragazza che ansiosa mi aspetterà.
Anch’io non vedo l’ora di essere libero per correre da lei e poterle dire che finalmente ho finito di essere lontano: ora sarà tutta mia e l’avrò con me per sempre, per tutta la vita.
Perché le voglio bene, e sento proprio che il mio amore per lei non è uno di quei passeggeri capricci che si possono provare con qualche insignificante donnina che poi svaniscono come foglie col vento.
No! Questa è per me la donna ideale e non vedo l’ora di rivederla per poterle manifestare tutto ciò che il mio cuore prova per lei.
Sono sicuro che anche lei sarà felice del mio ritorno.
Potremo così continuare da vicino, più intimamente, la nostra relazione che finora è sempre stata per corrispondenza.
Ora le scriverò una bella lettera e poi andrò a dormire perché il sonno comincia già a rendere pesante le palpebre e la mano si rifiuta di continuare a scrivere più a lungo.
Anche lei, la mia “bimba”, penserà al mio ritorno ed aspetterà con ansia il suo Wando che fra qualche giorno discenderà dal treno nella sua divisa da marinaio e la stringerà forte al suo petto per non lasciarla mai più e renderla così sempre più felice.
Penso pure però ai nostri fratelli che durante questi anni sono caduti, immolando la loro giovinezza per la grandezza della Patria e che purtroppo questo sacrificio l’hanno compiuto invano.
Ma a loro va il ricordo di tutti noi che non dimenticheremo mai i disagi e i sacrifici fatti per l’ideale di una Italia grande e imperante.
È andata male, ma ci risolleveremo ed i morti di adesso saranno vendicati un giorno.
Mare Tirreno, 9 settembre 1943 – ore 12,15
Come è strana la vita! Promette tante cose e poi, a distanza di poche ore, tutto può essere rovesciato rispetto alle previsioni.
Ieri sera mi ero addormentato nella convinzione che tutto fosse finito e che sarei tornato a casa fra breve e invece ora siamo in navigazione verso un porto sardo, in attesa degli eventi e delle clausole dell’armistizio.
Questa notte, infatti, dopo un’ora e mezza circa che dormivo, sono stato svegliato (era l’una dopo mezzanotte) dal mio collega di segreteria il quale, concitato, mi ha detto che bisognava preparare il servizio di navigazione perché si partiva.
Si può immaginare quanto sia rimasto male a tale notizia che purtroppo era vera.
Balzo dalla branda, la rollo e ci mettiamo a preparare il servizio.
Facciamo chiamare la gente delle caldaie e si accende.
Alle cinque la nave esce dal porto.
Con noi sono pure gli incrociatori “Garibaldi” e “Duca degli Abruzzi” e tre cacciatorpediniere.
La navigazione procede tranquilla con il mare abbastanza calmo.
Sono triste però e durante tutta la guardia penso a casa dove i miei mi aspetteranno, mentre io navigo verso una base lontana da dove rimarrò in attesa che gli eventi permettano il nostro ritorno.
Sembra che i Tedeschi abbiano provocato dei tafferugli in Italia.
Speriamo che non facciano della nostra Patria un campo di battaglia e di guerra civile e se ne vadano in fretta da dove sono venuti, perché ormai sono indesiderati tra gli Italiani della nuova Italia.
Alle dieci abbiamo incontrato il resto della squadra navale che era a La Spezia e cioè le corazzate da 35.000 tonnellate: “Roma”, che è alla sua prima uscita in missione, “Italia” che è la “Littorio”, ribattezzata la “Vittorio Veneto”.
Come sono belle e potenti le nostre corazzate! Sono l’orgoglio della nostra Marina ed io mi soffermo sul ponte a guardare ammirato la loro linea svelta e potente allo stesso tempo.
Con loro sono gli incrociatori da 7000 tonnellate “Eugenio di Savoia” e “Montecuccoli” ed altre cacciatorpediniere.
Si naviga in formazione aperta e ci si dirige tranquilli ed indisturbati verso la Maddalena dove si arriverà tra un paio d’ore e dove getteremo l’ancora in attesa di ordini superiori.
Io sono abbastanza fortunato perché la guardia la faccio in segreteria e così posso venire spesso in coperta a vedere le nostre belle navi andare sul mare e respirare anche una buona boccata d’aria.
Però come è stata ridotta la nostra gloriosa e sfortunata Marina! Della flotta che all’inizio della guerra era seconda del mondo per potenza, ora non rimangono che poche unità (le migliori però) di cui i nemici si approprieranno.
Ma prima di cedere le navi, l’avranno da fare con noi che le nostre navi amiamo come fossero le nostre case e le cederemo solo a prezzo della vita.
Mare Mediterraneo Occidentale, sera, 9 settembre 1943
Riprendo il mio diario per narrare le vicende alle quali ho assistito in questo giorno indimenticabile e doloroso per la nazione intera e particolarmente per la Marina.
Oggi il naturale disprezzo che ho sempre provato per i Tedeschi si è tramutato in odio profondo ed inestinguibile, sì che il primo esemplare di una razza così feroce e odiosa che mi capiterà sotto mano dovrà pagare care le malefatte compiute oggi ai danni degli Italiani.
È quasi mezzanotte e da due ore tutto è tornato tranquillo sulla nave dopo sei ore di infernale tensione nervosa.
Ma procedo con ordine nella riepilogazione dei fatti.
Come era previsto, verso le ore 14, siamo arrivati in vista dell’isola della Maddalena dove dovevamo ormeggiarci, ma un tempestivo radiogramma ci avvertiva di cambiare rotta perché i Tedeschi avevano occupato l’isola e ci impedivano l’approdo, essendo noi fedeli al Re e, volendo evitare la sicura cattura se fossimo entrati in porto, l’ammiraglio ha deciso di far rotta verso le isole Baleari in attesa degli ordini superiori del ministero.
I Tedeschi, vistisi così giuocati d’astuzia da noi, hanno deciso di attaccarci con i loro bombardieri per danneggiare ancor più le nostre navi.
In parte ci sono riusciti, perché verso le 16 abbiamo avvistato da levante sette apparecchi sconosciuti sui quali le navi hanno aperto il fuoco d’intimazione.
Avvedutasi della loro identità (erano tedeschi), la difesa antiaerea di tutte le unità è entrata in azione.
Ma i bombardieri, data la loro altezza, hanno però potuto sganciare sulla nostra formazione.
Il nostro incrociatore è stato preso in mezzo ad una selva di bombe che fortunatamente sono cadute in mare.
Che attimi sono stati quelli quando abbiamo udito le esplosioni così vicine.
Tutti ci siamo sentiti rialzare i capelli, ma poi gli apparecchi si sono allontanati.
Sono ritornati di nuovo all’attacco dopo qualche minuto e questa volta hanno fatto piovere un grappolo di bombe dirompenti sulle corazzate.
La “Roma” è stata centrata da due bombe, di cui una è caduta per il fumaiolo, causando lo scoppio di una caldaia che conseguentemente ha fatto esplodere il deposito munizioni di prora.
Che scena spaventosa si è svolta ai nostri occhi! Malgrado il tiro antiaereo, io e due miei compagni ci eravamo messi in un ottimo posto di osservazione e così abbiamo potuto vedere la terribile tragedia della “Roma”.
Uno scoppio spaventoso e la corazzata, coperta da una nuvola bianca di vapore e di esplosivo incendiato, si è spezzata in due parti, mentre dalla potenza dell’esplosione, il complesso di cannoni da 100/47, il fumaiolo e la torre di prora da 381 sono saltati via.
Poi la poppa è sprofondata, mentre la parte prodiera tra la nube di fumo si è piegata sul fianco e, dopo un’agonia di circa sei minuti, la “Roma”, volta la prora in alto, si è inclinata con il suo carico glorioso di marinai.
Metà dell’equipaggio è stato raccolto da un incrociatore leggero l’“Attilio Regolo”, presso la punta sud della Corsica a poche miglia dalla costa.
Intanto gli aerei nemici si accanivano ancora sulle nostre navi e un’altra bomba colpiva sulla torre di prora da 381 la corazzata “Italia”, ma, dato che in quel punto lo spessore della corazza d’acciaio era molto grande, il colpo non ha avuto serie conseguenze.
Dopo un po’ gli aerei si sono allontanati.
Era circa un’ora che si navigava verso ovest, quando abbiamo avvistato un’altra formazione di aerei tedeschi.
Però questa volta, malgrado si accanissero in altri attacchi, per oltre tre ore, non sono riusciti più a colpire nessuna nave e si sono allontanati.
Durante quelle ore quante volte mi sono venute in mente le persone care, lasciate a Dumenza: mio padre, mia sorella, mia nonna e i miei amici che in quel momento, ignari di quanto stava succedendo sul mare, stavano magari attendendoci.
Ora si naviga verso la Spagna, ma è probabile che la nostra flotta vada a rifugiarsi nel porto algerino di Bona.
Se così fosse arriveremo domani verso le 10 circa.
Mare Mediterraneo, 10 settebre 1943 (sera)
Questa è proprio la navigazione degli imprevisti! Infatti eravamo quasi sicuri ormai che la nostra meta fosse Bona, e già si era in vista del porto, facendo i preparativi per l’ormeggio, quando un contrordine inglese ci annunziava che la nostra meta sarebbe stata Malta.
Sembra che questi signori vogliano vendicarsi di tutte le volte che li abbiamo messi in fuga, facendoci viaggiare a casaccio per il “Mare Nostrum”.
Stamattina, prima ancora che il porto fosse in vista, il Comandante in 2ª, nella certezza che il nostro punto d’arrivo fosse Bona, ci ha fatto radunare a poppa dove ci ha parlato con grande commozione per il dolore di vedere le nostre navi ridotte ad una simile umiliazione.
(Il nostro comandante in 2ª, Capitano di fregata Riccardo Bonis, è un intrepido e valoroso ufficiale già imbarcato su un sommergibile col quale ha mandato a picco in Atlantico, con siluri, due petroliere inglesi).
Abbiamo alzato l’insegna di combattimento per l’ultima volta per poi buttarla a mare, in attesa degli eventi.
È stato veramente un momento molto commovente vedere la grande bandiera salire sul pennone.
Dalle voci che circolano a bordo stasera, sembra che il Maresciallo Badoglio si sia favorevolmente accordato circa la flotta e si spera che le navi restino in Italia.
È il nostro voto, di tutti quanti, di poter navigare ancora per poter vendicare un giorno l’onta di adesso.
Ora siamo diretti verso est alla volta di Malta che si spera di raggiungere nella giornata di domani.
Siamo appesantiti sulla prora per la falla che si è prodotta nell’urto col “Garibaldi”, all’uscita dal porto di Genova l’altra notte, un largo foro, fortunatamente alto sulla linea di galleggiamento.
Non abbastanza però perché le violente ondate possono allagare la cala del nostromo, malgrado i pronti tamponamenti eseguiti con tutti i mezzi possibili, perfino con brande.
Sul “Garibaldi” il danno è più grave, perché nell’urto il complesso da 100/74 di sinistra è stato in parte divelto e due cannonieri sono rimasti gravemente feriti.
Uno di questi due compagni è deceduto in navigazione e solo ora sappiamo che gli si è data sepoltura secondo il rito marinaro, cioè in quel grande camposanto che per noi marinai è il mare.
Si fa notte e al ricordo delle terribili ore passate ieri mi rattristo a pensare che tanti compagni della corazzata “Roma” a quest’ora dormono il loro glorioso sonno eterno con la loro bella nave negli abissi del mare.
Pure il pensiero dei miei cari si fa sentire più che mai.
Chissà cosa ne sarà di loro! Dalle notizie pervenuteci a mezzo radio, sembra che i tedeschi terrorizzino le nostre belle città, malgrado l’eroica resistenza dei patrioti.
Speriamo che alla mia famiglia non succeda nulla di male e che il cielo l’assista.
Malta, 11 settembre 1943
Finalmente siamo giunti alla meta! Infatti, dopo aver navigato a casaccio in attesa di ordini per cinquantasei ore, alle 10 di stamattina abbiamo posato le ancore nella baia di S. Paolo nell’isola di Malta.
Grande è stata l’impressione che ho ricevuto nell’intravedere e nell’avvicinare questa italianissima isola trasformata in un’inespugnabile roccaforte dagli Inglesi.
È su quest’isola che si svolsero tanti duelli d’aviazione tra i nostri velivoli e i caccia avversari.
Ma è soprattutto in quest’isola, e precisamente nel porto di La Valletta (che si vede laggiù poco distante), che rifulse il valore e l’eroismo dei nostri gloriosi marinai che, a costo della propria vita, vennero a dare un durissimo colpo al naviglio inglese.
Si vedono ancora le alberature delle navi affondate da questi intrepidi assaltatori del mare affiorare qua e là dentro il porto.
Nella baia dove siamo ancorati noi, si scorge la carcassa di una petroliera, la quale, colpita da bombe durante una missione dei nostri apparecchi sull’isola, ora giace contorta e fracassata a ridosso degli scogli dove è stata scagliata dalla violenza delle esplosioni.
A Malta abbiamo pure trovato le navi della squadra dello Ionio e dell’Adriatico qui giunte in precedenza: quello che resta della nostra flotta è tutto riunito qui.
E pensare che gli Inglesi, che avevano tremato di fronte alle nostre belle e potenti unità, ora la fanno da padroni.
Nel pomeriggio alcune imbarcazioni con degli abitanti maltesi che parlavano perfettamente l’italiano sono venute sotto bordo.
I Maltesi hanno avuto espressioni di viva simpatia per l’Italia e per noi.
Peccato che non si possa andare a terra, ma speriamo di rimanere un po’ di tempo in quest’isola che ci pare un lembo della nostra sventurata Patria che attraversa così tragici momenti.
Alessandria d’Egitto, 16 settembre 1943
Riprendo questo piccolo diario della mia vita marinara in un porto dove non avrei mai creduto di poter arrivare.
Sono in questa metropoli mediterranea, centro di traffico di primaria importanza, Alessandria d’Egitto.
Siamo arrivati stasera dopo una navigazione di trasferimento da Malta durata quarantadue ore.
È stata abbastanza movimentata per via del mare un po’ mosso e più ancora per un allarme sommergibili fortunatamente senza perdite.
Abbiamo costeggiato nella giornata di ieri la costa cirenaica che io vedevo per la prima volta e intanto pensavo ai sacrifici che vi avevano compiuto i nostri valorosi soldati durante trentaquattro mesi di alterna fortuna delle armi.
Alessandria d’Egitto, 18 settenbre 1943
Oggi si è verificato un fatto nuovo a bordo che ha provocato in noi una forte indignazione contro i nostri ex nemici.
Infatti, per misura precauzionale, dicono loro, un gruppo di marinai inglesi è venuto a bordo ed ha smontato gli otturatori dei nostri cannoni e li ha portati a terra.
Quindi un altro gruppo si è imbarcato ed ha messo degli uomini di guardia ai depositi munizioni per paura che noi facciamo saltare le navi.
È una cosa inaccettabile vedere sulle nostre unità della gente simile, ma l’Ammiraglio Oliva, in una sua riunione a poppa, ha raccomandato di tenerci calmi e noi abbiamo dovuto, sebbene a malincuore, obbedire.
Nel pomeriggio si è ormeggiato vicino a noi il cacciatorpediniere “Velite” e quale è stata la mia gioia nel trovarmi a bordo tre miei amici: uno di Colmegna, Cantoreggi, uno di Maccagno, Saredi e l’altro di Germignaga, Campagnani.
Grande è stata la nostra contentezza nel ritrovarci a così grande lontananza da casa e insieme abbiamo rievocato i bei giorni passati a Luino quando si era borghesi e abbiamo parlato molto dei nostri cari paesi e del nostro lago.
Con la loro vicinanza sembra quasi di essere in Italia, invece siamo a migliaia di chilometri, in terra straniera.
Taranto, 18 ottobre 1943
Non sembra nemmeno vero ed invece è proprio la realtà! Siamo tornati in Italia! La nostra bella terra tanto sospirata è apparsa di nuovo ai nostri occhi.
Sebbene occupata dai nemici di ieri, pure ci sembra sempre la stessa.
Ad Alessandria siamo rimasti un mese e a noi che ci aspettavamo di rimanerci per un periodo molto più lungo è sembrato che il tempo fosse volato.
Una cosa però avremmo desiderato: poter mettere piede a terra almeno una volta, ma ci è stato proibito, anche perché era stato stabilito che saremmo tornati presto in Italia.
Le autorità inglesi ormai hanno abbastanza fiducia in noi e si spera di poter navigare ancora.
Abbiamo dovuto riportare noi in patria metà dei loro equipaggi che sarebbero stati sostituiti.
Che baraonda con tanta gente a bordo in più! Abbiamo fatto tutta la navigazione, durata quarantotto ore, senza poter quasi riposare le ossa, perché la nave era carica di marinai delle corazzate che rimpatriavano.
In porto a Taranto troviamo molte navi americane e inglesi ed alcune italiane e al solo vedere sventolare la nostra bandiera vicino a quelle straniere si prova una strana sensazione.
Ma verrà pure il giorno del riscatto.

Wando Barozzi : tessera militare

Taranto, 19 ottobre 1943
Stamane all’alba siamo entrati in Mare Piccolo passando per il canale del ponte girevole.
C’era molta gente a vedere il nostro ritorno e pure una banda militare dava fiato ai suoi strumenti per festeggiare il rientro delle navi, ma eravamo tristi per il fatto che si tornava come sconfitti.
Forse domani ricominceranno le franchigie in città e così, dopo quaranta giorni di astinenza, potremo rifarci di tutto il tempo passato a bordo senza poter vedere persone amiche e quello che più interessa visi femminili.
Perciò domani pacchia! Taranto, 20 ottobre 1943
Oggi ho fatto, dopo quarantadue giorni, la tanto sospirata franchigia.
Mi sembrava di ritornare ai miei primi tempi di imbarco, quando si andava in città quasi tutti i giorni.
Ma allora tutto era differente.
Ricevevo spesso notizie dai miei di casa, mentre ora chissà quando potrò di nuovo ricevere qualche lettera, dato che l’Italia settentrionale è in mano tedesca che si fa sempre più pesante con la sua barbarie.
In Taranto circola ogni specie di soldati, italiani, inglesi, americani, negri, neozelandesi, canadesi, di tutte le razze e le qualità.
Pure ci facciamo l’abitudine, nella speranza che un giorno la nostra Patria torni libera come prima.
Sono andato ai miei consueti luoghi di ricreazione e ho fatto molte spese di prima necessità perché si prevede di ripartire presto per una destinazione finora ignota.
Si parla dell’Africa inglese, ma non si precisa la località.
Dio ce la mandi buona! Taranto, 25 ottobre 1943
Un avvenimento è venuto a ridare un po’ di tono al nostro abbastanza basso morale.
Ieri abbiamo avuto a bordo la visita del Ministro della Marina, Ammiraglio Raffaele De Courten il quale ci ha detto che gravi compiti aspettano ancora l’“Aosta”.
Infatti noi e l’“Abruzzi” saremo destinati in Atlantico per delicate missioni di guerra.
Si è dimostrato certo che adempiremo lodevolmente il nostro dovere e ci ha fatto i migliori auguri di riuscita con vibranti parole di fedeltà al Re.
Oggi invece abbiamo avuto l’alto onore di ricevere l’augusta visita di S. Maestà il Re e dell’A. R. il duca d’Aosta. S. M.
ha rivolto brevi, ma fervide parole al nostro indirizzo e ci ha augurato buona fortuna per le prossime missioni.
Indi ha continuato la visita sulle altre navi.
La visita del Re ha rafforzato in noi la nostra fedeltà a Lui e alla Patria: faremo sempre il nostro dovere in nome della gloriosa Casa Savoia.
Intanto fervono i preparativi per la partenza che si prevede ormai prossima.
Si sono imbarcati elmetti di sughero e indumenti coloniali, perché credo si vada in una località vicino all’Equatore.
Chissà che caldo farà laggiù! Torneremo bene abbronzati e cotti dal sole.
Ma in Atlantico c’è il pericolo degli U-Boot e qualche regaluccio, per la verità indesiderato, potrebbe esserci inviato sotto forma di siluri, dai nostri ex-alleati ed allora un bel bagno con contorno di pesci non ce lo leverebbe nessuno.
Ma tocco ferro e faccio i dovuti scongiuri di rito.
Gibilterra, 30 ottobre 1943
È sera e sono appena smontato dalla mia guardia.
Siamo arrivati in questo porto dove non mi sarei mai immaginato di poter approdare due mesi fa.
Sono a Gibilterra! Nella formidabile montagna-fortezza dalla quale si domina l’entrata nel Mediterraneo.
La rocca è quasi tutta illuminata, anche se è notte, e si ha l’impressione che qui la guerra non ci sia.
Dalle formidabili fortificazioni si levano di tanto in tanto alcuni fasci di luce prodotti dai proiettori della difesa, i quali, dopo aver perlustrato il cielo, si spengono, per poi ricominciare dopo qualche minuto.
Da tutto l’insieme della città e della rocca, risalta lo straordinario armamento qui messo in opera dagli Inglesi a difesa della base navale.
Più lontana si vede la costa spagnola con la bella città di Algeciras e di La Linea.
Dall’altra parte dello stretto si intravede nereggiare la terra africana.
Tutto è bello qui, anche se a togliere un po’ di fascino al luogo si odono le forti esplosioni prodotte dalle bombe di profondità, lanciate da un battello guardacoste all’entrata del porto.
Con noi è l’ “Abruzzi” sul quale è imbarcato l’Ammiraglio Biancheri che ci guiderà nelle nostre missioni.
La navigazione da Taranto è stata abbastanza lunga per via che si è fatto prova di autonomia.
Fino all’altezza della Sicilia sono venuti con noi l’“Eugenio” e il “Montecuccoli”, ma poi ci hanno lasciato perché andavano a Palermo.
Vicino all’isola di Pantelleria sono iniziate le esercitazioni di tiro antiaereo e di posto di combattimento.
Noi abbiamo ripreso la rotta verso occidente.
Siamo arrivati in vista di Gibilterra nel pomeriggio.
Intravedevamo la roccaforte con i suoi poderosi fianchi rocciosi mentre costeggiavamo la terra africana.
Vista da lontano, ha il profilo di un leone che riposa con la testa accucciata sulle zampe anteriori.
Più oltre si scorge la meravigliosa terra spagnola.
Nel mio cuore però è sempre presente il mio paese con i suoi monti e il suo lago e sono sicuro che dovunque andrò, non potrò mai scordare il luogo dove ho vissuto la mia prima gioventù e, voglia Iddio, che vi possa ritornare un giorno non lontano.
Gibilterra, 31 ottobre 1943
Oggi, come era nelle mie previsioni, sono andato in franchigia a terra.
Grande è stata la mia impressione nel mettere piede in questa roccaforte.
Ma presto ci siamo orientati e dai primi acquisti che abbiamo fatto in moneta inglese, abbiamo cominciato a prendere confidenza col sistema monetario britannico, con i suoi scellini e i suoi pence.
Ho comperato soprattutto sigarette, perché sono molto buone e costano poco.
Ero in compagnia con due miei amici lombardi e con loro sono andato ad esplorare questa città.
Siamo entrati in vari bar e tabarin della Main Street dove ci facevamo capire più a gesti che a parole, essendo il nostro repertorio di termini inglesi per il momento molto ridotto.
Per fortuna siamo entrati in un negozio gestito da due sorelle spagnole con le quali abbiamo intavolato un singolare dialogo a base di parole italo-spagnole e più con argomenti pratici.
Questa è l’unica nota piacevole in fatto di franchigia, perché, a parte la soddisfazione di aver messo piede a Gibilterra, oggi, per colmo della sfortuna, è piovuto per tutto il pomeriggio ed è cessato solo quando siamo ritornati alla nave.
In complesso sono rimasto abbastanza soddisfatto, specialmente per quelle due ore passate con le due belle senòritas che abbiamo lasciato con scambio finale di baci e oggetti di ricordo.
A bordo poi, dal momento che eravamo stati noi del primo gruppo ad uscire in franchigia, siamo stati assaliti dalle domande interessate dei compagni in relazione al fattore donne, giacché per dei marinai che si rispettino quello è l’argomento più importante.
Stasera, dato il ristabilirsi del tempo, è stata proiettata a bordo una pellicola a colori, inglese.
Molto bella, malgrado non ci capissimo un gran che.
Chiudo così questa bella giornata alquanto in alto di morale, sebbene il mio pensiero voli ansiosamente a casa, mentre si sentono rimbombare poco distanti le esplosioni delle bombe di profondità anti-assalitori.
Oceano Atlantico, 6 novembre 1943
Come da disposizioni ricevute, abbiamo continuato il nostro trasferimento verso l’Africa Occidentale Inglese e precisamente per Freetown, nella Sierra Leone che sarà la nostra meta.
Siamo partiti noi e l’“Abruzzi” alle 11 circa e, dopo aver navigato un paio d’ore ancora in Mediterraneo per eseguire delle esercitazioni di tiro contraereo, abbiamo volto la prora verso occidente e siamo entrati in Oceano.
Molto interessante è stato il passaggio attraverso lo stretto di Gibilterra dove le navi dovevano fare continui spostamenti di rotta per evitare i numerosi campi di mine poste qui a difesa.
Poi la terra europea ha iniziato ad allontanarsi da quella africana, mentre lontano spariva alla vista la roccaforte di Gibilterra.
Nell’entrare in Atlantico ho visto una varietà di pesci mai veduta e cioè i pesci rondine che hanno la caratteristica di poter fare dei piccoli voli fuori dall’acqua, mediante l’aiuto delle pinne foggiate a mo’ di ali.
Sono stato qualche tempo in coperta a vedere i loro piccoli voli.
Poi ho avvistato dei delfini che tentavano di gareggiare con noi in velocità.
Indi, proseguendo sempre verso ovest, abbiamo ben presto perso di vista la costa, mentre iniziava la vera navigazione atlantica.
Il mare fino adesso così calmo, si fa sentire con un forte rollio.
Si comincia presto a far conoscenza con l’oceano.
Oceano Atlantico, 8 novembre 1943
Dopo quasi due giorni di continuo agitarsi, il mare si è un po’ calmato.
Questa volta sì che si sentiva, ma strano, non ho accusato nessun malessere allo stomaco.
Rimane solo un po’ di mal di testa come conseguenza inevitabile dopo una simile danza con le montagne d’acqua che sembravano spazzare via tutto dalla coperta.
Freetown (Sierra Leone), 13 novembre 1943
Siamo arrivati! Era già più di una settimana che eravamo in navigazione e non si vedeva l’ora di poter approdare a questo benedetto Freetown, ma adesso finalmente tutto è finito e ci potremo riposare un po’ dalle fatiche di navigazione e di tutte le ore di guardia passate in matrice di prora.
Abbiamo trovato ieri un convoglio inglese che si dirigeva verso il nord e tra me pensavo a quello che avremmo fatto se tale incontro fosse avvenuto tre mesi fa.
Certamente quelle povere navi avrebbero fatto una brutta fine sotto i colpi dei nostri cannoni.
Oggi, dopo centosettantadue ore di navigazione, abbiamo potuto dar fondo all’ancora nel bel porto di Freetown (in italiano “Città libera”), vasto porto, cinto da grandi sbarramenti antisommergibili che pure qui hanno lasciato il loro ricordo sotto forma di due navi affondate.
Bisogna proprio che gli Inglesi non avessero la vita tranquilla da nessuna parte.
Ma il fatto curioso che mi ha colpito in questo porto è la fortissima corrente che si forma nell’alternarsi delle maree sì che le navi, secondo la direzione della corrente, girano su se stesse diverse volte in breve spazio di tempo.
In porto siamo entrati che era quasi notte.
La città si intravedeva poco distante, tutta illuminata.
Fa abbastanza caldo, mitigato appena da una leggera brezza marina che rinfresca un po’ l’afa.
Speriamo ci diano la franchigia, così che si abbia la soddisfazione di poter mettere piede anche in Africa.
Una delegazione inglese è venuta a bordo stasera per porgere il benvenuto alle nostre navi, ma questi signori ci ispirano sempre una certa diffidenza.
Spero di potermi ingannare e che si venga trattati bene come alleati, perché si è avuta notizia che Badoglio ha dichiarato guerra alla Germania e così dovremo ancora navigare contro un nuovo nemico.
Freetown (Sierra Leone), 14 novembre 1943
Finalmente oggi si può intravedere la città dal mare e il primo aspetto è abbastanza confortevole.
Ci si aspettava di vedere le solite catapecchie dei negri ed invece si scorgono, sempre a mezzo binocolo, delle abitabilissime case all’europea, segno evidente che la civiltà è giunta anche qui.
Stamattina poi abbiamo avuto modo di far conoscenza coi dei negri, venuti sottobordo a vendere della frutta, in prevalenza banane e noci di cocco.
Immaginarsi la nostra avidità nel mangiare tali frutti che non si vedevano più da circa tre anni e trovarli a buon mercato.
Ne ho fatto una vera scorpacciata.
Peccato che non si parli di franchigia, dato che si teme l’ostilità dei negri verso gli Italiani, dal momento che molti di loro sono stati in Abissinia sotto le bande del Negus.
Perciò, per evitare incidenti che sarebbero indubbiamente molto dannosi per noi, si rimarrà a bordo finché tutto sarà chiarito.
Nostro unico divertimento e diversivo è la pesca e si può dire che renda, perché qui il pesce abbonda.
Quei pochi che si sono imbarcati per le clausole armistiziali però oggi sono andati a terra ed hanno portato a bordo molte riviste illustrate che sono andate a ruba tra noi.
Si parla di una prossima missione in Atlantico per la sorveglianza e la eventuale intercettazione di naviglio corsaro tedesco.
Tale sarà il nostro compito in Atlantico e si prevede che sarà abbastanza gravoso, perché si resterà in navigazione parecchi giorni, alternati a brevi periodi di riposo in porto.
Comunque auguriamoci di poter farci onore e di tener fede alla fiducia riposta in noi da S. M. il Re e dal Maresciallo Badoglio.
Oceano Atlantico, 19 novembre 1943
Come era nelle previsioni, abbiamo ripreso il mare per una lunga missione di guerra alla caccia degli incrociatori ausiliari tedeschi che eventualmente fossero nei paraggi delle rotte alleate.
Ieri sera si è imbarcato sull’ “Aosta” l’Ammiraglio Biancheri che verrà con noi ad effettuare la prima missione, dato che l’“Abruzzi” rimarrà in porto fino a quando noi rientreremo alla base.
L’imbarco dell’ammiraglio è avvenuto anche in seguito a un tafferuglio avvenuto a bordo ad opera di un piccolo gruppo di malpensanti (leggi fascisti) che sono stati subito sbarcati.
È veramente deplorevole che, dato le attuali condizioni della Patria, vi siano ancora degli individui, seguaci di un partito che è stato la rovina del nostro Paese.
Fortunatamente si tratta di pochi che sono stati subito eliminati da bordo.
La navigazione procede tranquilla con un mare abbastanza calmo.
Si naviga con due sole caldaie accese e con sovraccarico di nafta, dato il grande numero di ore che dovremo fare in navigazione.
Una cosa dimenticavo: in seguito a mia domanda, sono stato destinato dalla segreteria all’officina di bordo, essendo ormai stanco della vita insulsa della mia precedente destinazione.
In officina vi sarà da lavorare, è vero, ma lavorerò dello stesso mestiere che facevo a casa, cioè alla fresatrice e sarà tanto di guadagnato in pratica e soddisfazione.
La guardia la farò in motrice di prora con i miei compagni che ora sembra si dimostrino più affezionati perché, d’ora in avanti, vivrò anch’io la loro vita di lavoro.
È sera e ormai siamo già al largo e per otto giorni si prevede che non si toccherà più terra, salvo imprevisti.
Oceano Atlantico (zona equatoriale), 22 novembre 1943
Oggi, e precisamente stasera, alle 19,30, abbiamo fatto (io e molti altri per la prima volta) il battesimo dell’equatore.
Che risate! Certe docce con le manichette incendio che non finivano mai.
Eppure è tradizione marinara che, quando si passa per la prima volta attraverso il massimo cerchio terrestre, si deve essere bagnati da Nettuno (questa volta impersonato dal nostromo) ed anche i signori ufficiali, volenti o nolenti, hanno dovuto sottostare a tale usanza, mentre la banda di bordo suonava allegre musichette per rallegrare ancora di più l’ambiente, benché non ce ne fosse bisogno.
Come mi sono divertito stasera! Mi sono levata questa soddisfazione del battesimo dell’equatore che è un po’ l’aspirazione di tutti i marinai imbarcati.
Fra qualche giorno si tornerà alla base.
Freetown (Sierra Leone), 28 novembre 1943
E anche la prima missione in Atlantico è terminata.
Erano centosettantasei ore che si era in navigazione e le ore di guardia si succedevano e si accumulavano con una lentezza esasperante.
Ma bisogna farci l’abitudine perché, a quanto si dice, di queste missioni di intercettazione ne dovremo fare parecchie.
Anche alle ondate colossali dell’Oceano ora ci si è fatta l’abitudine: non danno più quella sensazione di vuoto, mentre la nave si abbassa e si alza seguendo il flusso dell’acqua.
Siamo ormai lupi di mare, anche se non vecchi e senza pipa, e nulla ci spaventa più, venissero anche cento corsari ad intralciare la nostra missione.
Con il nostro ammiraglio, che è per noi un vero padre, perché farebbe l’impossibile per renderci meno pesante la dura vita di navigazione, ci sentiamo di andare anche in capo al mondo.
Pare che siano in corso delle trattative per autorizzarci a scendere a terra, ma per ora non c’è nulla di certo e la sola cosa che si possa fare nelle ore libere è pescare e mangiare banane.
A proposito di cibo, da diversi giorni, essendo esauriti i viveri portati con noi dall’Italia, si mangia con il sistema inglese e cioè con quella serie di intingoli, salse e simili porcherie, buone sole per stomachi rovinati, ma non per noi che siamo sani e che dobbiamo fare la guardia snervante di macchina.
Unico diversivo a tali cibi (se così si possono chiamare) è il tè del quale si fa largo uso e il pane bianco con marmellata e burro.
Ma il resto vale zero al quoto.
Quanto rimpiango le buone pastasciutte che erano più soddisfacenti delle porcherie, in massima parte scatolette, che si debbono mangiare adesso.
Per fortuna ci sono le banane e ci si rifà con quelle.
Stasera forse avremo cinema a bordo e ci si potrà divertire un poco, dopo la fatica della navigazione.
Si è saputo che nelle vicinanze di Freetown vi è un campo di concentramento di prigionieri italiani.
Se avremo la fortuna di scendere a terra, potremo recarci a trovare questi nostri compagni d’arme e portare loro qualche notizia della Patria lontana.
Freetown, 2 dicembre 1943
In seguito alle trattative condotte dal nostro Ammiraglio con il Comando inglese, ci è stato permesso di scendere a terra.
Io sono stato abbastanza fortunato, perché il mio gruppo è uscito per secondo e così oggi ho avuto la soddisfazione di mettere piede in terra d’Africa.
Però non ci hanno permesso di andare in città, così abbiamo dovuto passare la franchigia alla spiaggia in un’area destinata esclusivamente a noi.
Il mezzo che ci portava a terra era scortato dall’“Aosta”, così, dopo una traversata abbastanza lunga, abbiamo potuto attraccare alla banchina verso le otto e trenta.
Il posto dove sbarchiamo è denominato Punta King Tom (Punta del Re Tom) ed è caratterizzato dagli enormi baobab che vedo per la prima volta.
Ma non eravamo ancora giunti a destinazione.
Infatti, sei autocarri erano pronti ad aspettarci e vi siamo saliti.
Ha avuto così inizio una lunga corsa sulle discrete strade locali fino a che siamo arrivati alla spiaggia.
Durante il tragitto ho avuto modo di osservare la lussureggiante vegetazione con molta frutta, sì che questa colonia è come un piccolo paradiso terrestre.
A farci tornare alla realtà però ci sono le abitazioni dei negri, fatte in questa zona di sole stuoie e di fango.
C’è una bella differenza tra Punta King Tom e Freetown».
Uno spettacolo avvilente le immagini di povertà che si offrono ai suoi occhi: donne circondate da una numerosa prole, logorate dalla fatica, un ambiente degradato, uomini con la pelle tatuata, rivestiti di pochi cenci per nascondere le loro nudità.
Un viaggio su un camioncino attraverso una strada asfaltata costeggiata da una lussureggiante vegetazione.
Giunti sulla spiaggia, molto distante da Freetown, finalmente possono immergersi nell’acqua per un bagno ristoratore.
Oceano Atlantico, 5 dicembre 1943
«Come era nelle previsioni, oggi abbiamo di nuovo preso il mare per un’altra missione di intercettazione e sorveglianza rotte.
Ormai questa sarà la nostra vita: molti giorni in mare e pochi giorni in porto.
Questa è la nostra regola e ci assoggettiamo volentieri, sapendo che con questo compiamo il nostro dovere e cooperiamo validamente alla rinascita della nostra Patria dalla quale ci giungono notizie abbastanza buone circa le operazioni che lassù si svolgono.
Speriamo sia liberata fra non molto la nostra cara terra e che si possa tornare a riabbracciare i nostri cari il più presto possibile.
Oceano Atlantico, 7 dicembre 1943
Questa sembrava la volta buona ed invece tanto trambusto per nulla.
Riepilogo gli eventi dell’altro ieri e di questa notte.
Eravamo tranquilli in navigazione, quando le vedette hanno segnalato a grande distanza un punto nero sull’orizzonte.
Dato che si era fuori dalle rotte normali, sembrava si trattasse di nave corsara nemica.
Al suono di posto di combattimento (erano le 15,45), tutti ci dirigiamo in postazione di sicurezza.
Io ero di guardia in macchina e laggiù eravamo un po’ in apprensione, perché non si poteva vedere niente di quello che succedeva sopra.
Si sente sparare un colpo di cannone e noi diciamo: “Ci siamo”.
E si continua scrupolosamente e più attentamente che mai la nostra guardia alle motrici.
Ma dopo il primo colpo non ne seguono altri e si viene a sapere alla fine del posto di combattimento che si era trattato di una motonave greca fuori rotta e che il colpo di cannone era stato un nostro segno di intimidazione.
Questa notte la scena si è ripetuta, ma si trattava di un piroscafo inglese che, dopo aver fatto i segnali convenuti dal codice alleato, se ne era andato.
Un po’ di delusione è rimasta in noi, perché si sperava di aver incrociato qualche cosa di buono, mentre invece erano navi alleate.
Intanto la navigazione continua tranquilla, però la nostra speranza è di poter farci onore e mostrare quanto valga l’“Aosta”.
Può anche darsi che le due navi incontrate fuori rotta siano state mandate appositamente dagli Inglesi per assicurarsi della nostra sorveglianza e, se così fosse, si saranno convinti che noi teniamo fede agli impegni assunti e sappiamo fare il nostro dovere di marinai.
Oceano Atlantico, 11 dicembre 1943
Oggi prendo la penna per riassumere il terribile fatto avvenuto a bordo durante alcuni tiri di esercitazione al bersaglio mobile.
La commozione non è ancora cessata in me e a stento trovo le parole per descrivere quanto accaduto.
Erano le 17,30 ed io ero di guardia in macchina quando, ad un tratto, si sente uno scoppio molto forte che si intende benissimo anche da laggiù, malgrado il fischiare del vapore e lo strepito dei vari macchinari di motrice.
Poco prima era suonato posto di combattimento per esercitazione e si sapeva che si sarebbero fatti i tiri alla nuvola, un tipo di addestramento contraereo.
Come ho detto, tale scoppio era anormale ed il capo-guardia impensierito mi manda sopra a vedere.
Appena salito, mi avvedo che passano alcuni portaferiti con una barella su cui giace un cannoniere gravemente ferito al basso ventre e alla coscia sinistra.
Che senso di freddo ho sentito per la schiena al vedere tanto sangue! Mi informo da un compagno e vengo a sapere che durante l’esercitazione di tiro, proprio al primo colpo, un proiettile era esploso in canna ad un complesso da 100/47.
Le schegge della canna erano state lanciate violentemente all’intorno e una parte di esse era andata a battere sulla plancia-segnali sulla quale erano di vedetta alcuni cannonieri e marinai.
Oltre al compagno ferito gravemente, visto prima in barella, erano stati colpiti altri tre marinai dei quali uno, un barbiere, gravemente allo stomaco, l’altro, un mio amico elettricista, ad una gamba ed un altro alla testa.
Quanta commozione alla vista di questi miei compagni coperti di sangue mentre venivano portati in infermeria! Quanto al cannone, ha avuto la canna sinistra completamente asportata della parte anteriore e la dritta tutta ammaccata da qualche scheggia.
Tengo a documentazione del fatto la fotografia del pezzo dopo il disastro.
Dopo essere smontato dalla guardia, sono entrato in infermeria per vedere come stava il mio amico, ferito non troppo gravemente alla gamba sinistra.
I due feriti più gravi, il cannoniere Nibaldi e il marò Oretano, versano in disperate condizioni sì che si teme non possano sopravvivere, dato che la nave rolla maledettamente.
Speriamo però che si salvino, perché sono due ottimi ragazzi benvoluti da tutti a bordo.
L’Ammiraglio, il Comandante e il Capo di S. M. si sono recati pure loro in infermeria e si sono soffermati al capezzale dei feriti cercando di incoraggiarli.
Sono usciti che avevano le lacrime agli occhi.
Oceano Atlantico, 12 dicembre 1943
Purtroppo la morte ha voluto visitare la nostra nave.
Difatti ieri sera alle 20,30 ha cessato di vivere, in seguito alle ferite riportate nello scoppio del complesso 100/47, il cann. Arm. Nibaldi Giulio.
Tutto l’equipaggio è rimasto molto colpito, perché era un bravissimo ragazzo benvoluto da tutti.
Povero amico! Mi ricordo quando veniva con me in officina (era un valente aggiustatore) e si lavorava assieme allegramente.
Ora invece riposa sul fondo di quel grande oceano che ha visto le gesta dei nostri sommergibilisti.
Anche tu sei caduto per la Patria e sta pur certo che non ti dimenticheremo mai.
La mesta cerimonia della sepoltura è avvenuta stasera alle 19, presente tutto l’equipaggio libero dalla guardia, l’ammiraglio, i comandanti e la delegazione di bordo inglese.
Eravamo con gli occhi pieni di pianto quando la salma, dopo essere stata vegliata tutta la notte e tutto il giorno sulla poppa da un picchetto d’onore, è stata calata a mare avvolta nella bandiera tricolore.
L’elogio funebre del povero Nibaldi è stato letto dal comandante Conciolino ed è con grande commozione che lo abbiamo ascoltato.
Mentre la spoglia veniva calata a mare, la bandiera è stata messa a mezz’asta in segno di lutto, perché, poco prima, anche il marò Oretano Francesco aveva cessato di vivere per la grave ferita riportata al petto.
Questo doppio lutto ha riempito di cordoglio tutti quanti.
Di nuovo l’Ammiraglio e lo S. M. si sono recati in infermeria a porgere l’estremo saluto a Oretano la cui sepoltura verrà fatta domani al tramonto.
Oceano Atlantico, 13 dicembre 1943
Oggi alle 9 abbiamo incontrato l’ “Abruzzi” che si recava nella sua zona di sorveglianza e, durante la breve sosta che ne è seguita, l’Ammiraglio è sbarcato dall’ “Aosta” per recarsi sull’altra nave, sua residenza abituale.
Nello stesso tempo si è imbarcato sull’“Aosta” il nostro cappellano per officiare la triste cerimonia della sepoltura di Oretano che si è svolta stasera sulla rotta di ritorno a Freetown.
Era al tramonto, alle 19,30 circa, il secondo triste funerale al quale non ho potuto però presenziare perché di guardia.
Dai compagni ho saputo che la spoglia ha avuto gli stessi onori tributati il giorno prima a Nibaldi ed è stata calata a mare tra la commozione di tutti.
Si naviga verso la base e si spera di arrivare dopodomani, anche per ricoverare in ospedale, dove potranno avere più adeguate cure, gli altri due feriti nel doloroso incidente che ha tanto rattristato tutto l’equipaggio.
Quanto al mio amico Galbiati, ferito alla gamba, sta abbastanza meglio.
Freetown, 15 dicembre 1943
Finalmente, dopo questa navigazione durata duecentosedici ore, durante la quale abbiamo avuto la sfortuna di perdere due compagni, ieri sera siamo arrivati.
Non vedevamo l’ora di rientrare per poter porre termine ad una missione tanto sfortunata ed anche per poter sbarcare i feriti che stamattina sono stati trasportati d’urgenza all’ospedale.
Tra l’equipaggio circola un certo malumore, perché si crede di poter imputare all’Ammiraglio la responsabilità della disgrazia avvenuta, ma è colpa del destino, perché quel cannone ha sempre funzionato benissimo e un fatto tanto singolare come lo scoppio anticipato del proiettile era almeno dieci anni che non si verificava.
Freetown, 17 dicembre 1943
Oggi ho assistito all’entrata in porto di una fra le più poderose corazzate del mondo, la “Washington”, stazzante 37.
000 tonnellate e battente bandiera americana.
Sono stato in coperta a vedere la manovra che eseguiva e col binocolo ho potuto osservare il formidabile armamento di cui dispone.
È veramente una bella nave della quale per ricordo il fotografo ha scattato diverse foto.
Spero di poterne avere una anch’io.
A bordo della corazzata vi sono parecchi Italiani emigrati in U.S.A. e che prestano servizio sotto la bandiera stellata.
Sono venuti sottobordo, nel pomeriggio, alcuni di loro ed abbiamo potuto scambiare cordiali parole in italiano.
Sembra che domani si riparta per un’altra missione.
La vita di bordo comincia a diventare pesante, specialmente per il caldo: fare la guardia in caldaia e motrice non è troppo piacevole.
Ma quello che bisogna fare è prenderci l’abitudine».
Oceano Atlantico, 18 dicembre 1943
Ha inizio una terza missione.
Purtroppo si prevede che anche durante le feste di Natale la navigazione continuerà: c’è da scoppiare dalla bile! Oceano Atlantico, 20 dicembre 1943
«Stanotte abbiamo fatto un incontro emozionante! Si navigava tranquilli con il mare abbastanza calmo, quando verso le ventitré suona posto di combattimento.
Ero del turno di guardia in motrice e perciò aumento l’attenzione ai macchinari per assicurarmi del loro perfetto funzionamento.
Dopo un po’ viene l’ordine di aumentare i giri a tutta forza e, subito dopo, alcuni colpi vengono sparati dai pezzi da 152.
Noi pensavamo già: “È il corsaro tedesco” e si pregustava la soddisfazione di una vittoria, quando qualche minuto dopo suona cessa posto di combattimento e allo smontare a mezzanotte si viene a sapere che la causa di tutto era stato un caccia americano che aveva creduto opportuno di non fare i segnali prestabiliti.
Ma bisognava vederlo, dicevano i compagni, come si affannava a dare la propria nazionalità e i segnali di codice, quando le nostre salve gli fischiavano abbastanza vicine.
Certo chissà che fifa avranno provato quegli Americani.
Ad ogni modo questo fatto è venuto a confermare quanto sia pronto il nostro attacco per ogni evenienza e ciò va ad elogio del nostro servizio di sicurezza veramente ottimo.
Oceano Atlantico, 25 dicembre 1943 (sera)
Oggi è il S. Natale! Questa festa, così cara al cuore di tutti, per la prima volta la trascorro lontano dai miei cari e per di più in navigazione di guerra in una zona alquanto pericolosa per via degli U.
Boot che sono stati segnalati da apparecchi da ricognizione.
Si naviga perciò a nervi tesi.
Intanto a casa chissà i miei cosa penseranno? Li immagino tristi per la mia lontananza e per lo stato in cui si trova la nostra Patria.
Ieri sera, vigilia del santo giorno, alla mezzanotte è stata celebrata la Messa dinanzi al Presepio allestito in un locale a poppa.
Quanta commozione quando è stato celebrato il Divino Uffizio e alcuni miei compagni hanno avuto la fortuna di poter fare la S. Comunione.
Terminata la Messa, ognuno è tornato al proprio posto di guardia o di sicurezza, dato che si era in zona pericolosa.
Un senso di commozione mi è rimasto impresso da questa S. Messa di guerra.
Come è stata presente la mia casa lontana e i miei parenti che in quel momento forse si trovavano nella chiesa di S.
Nazaro, anche loro per assistere alla tradizionale Messa di Natale alla quale non ho mai mancato di partecipare quando ero borghese.
Oggi abbiamo avuto rancio speciale che è valso a mitigare un po’ la tristezza che abbiamo nell’animo per la lontananza da casa.
Così anche il primo e spero l’ultimo Natale di guerra è trascorso.
Dopodomani rientreremo per poi riprendere la via del mare fra pochi giorni.
Si comincia però ad avere piene le tasche! Freetown, 27 dicembre 1943
Dopo aver passato le feste di Natale in navigazione e dopo aver fatto duecentodiciannove ore di moto, questa mattina si è potuto dar fondo alle ancore in porto.
Qui abbiamo trovato il caccia americano contro il quale abbiamo fatto fuoco e del quale una delegazione stamani è venuta a bordo per porgere le scuse.
Erano veramente desolati per quello che era avvenuto.
Abbiamo però ricevuto una bella notizia e cioè che inizieranno le franchigie in città.
Finalmente, era ora e subito da domani un gruppo andrà a terra.
Io spero di andarci mercoledì 29, dato che è franco il mio gruppo.
Con la franchigia da usufruirsi in città, ci sembra di essere più sollevati di morale».
Freetown, 29 dicembre 1943
Finalmente i marinai possono scendere a terra per visitare la città di Freetown e passeggiare per le vie in cerca di avventure o di guai.
La città, che conta 65.000 abitanti, è costituita prevalentemente da una popolazione di colore, ma anche da Inglesi ed Ebrei.
La franchigia si limita, salvo alcune eccezioni, a qualche acquisto di generi locali, fotografie, oggetti ricordo.
Freetown, 31 dicembre 1943 la festa di S. Barbara che non si era potuta svolgere il 4 dicembre, perché l’equipaggio era in servizio di approntamento per la navigazione, viene celebrata l’ultimo giorno dell’anno.
Gli organizzatori fanno miracoli per mettere insieme i premi occorrenti per la lotteria e la tombola.
Anche quelli dell’officina vi contribuiscono costruendo dei piccoli modelli dell’“Aosta” e dei portaritratti.
A raffreddare la momentanea allegria c’è però la prospettiva di una ormai prossima navigazione, la quarta della serie, con la quale avrà inizio il nuovo anno in alto mare.
«Stamattina è cominciata di nuovo un’altra navigazione: inizia così il nuovo anno! Ci siamo ormai abituati: due o tre giorni di permanenza in porto e poi via in cerca di guai.
Il nuovo anno l’abbiamo atteso abbastanza in allegria.
Io ed alcuni miei amici lombardi siamo riusciti a mettere insieme l’occorrente per un buon pranzetto e alle 23 l’abbiamo consumato brindando ad un prossimo ritorno in Patria.
Il liquido per il brindisi era rhum, non essendoci più vino a bordo, ma tale potente liquore, dopo pochi sorsi, ci aveva già spediti nel regno di Bacco, così a mezzanotte eravamo alquanto alticci.
L’anno è stato salutato dai fischi laceranti delle sirene di tutte le navi presenti in porto e dagli scoppi dei bengala lanciati per festeggiare l’avvento del 1944.
Ma qualcuno, tra i quali il sottoscritto, ha salutato l’anno nuovo con moccoli, uno più potente dell’altro, essendo del turno di guardia proprio dalla mezzanotte alle quattro e si può immaginare con che allegria possa essere sceso in macchina per via del rhum bevuto in compagnia degli amici dei quali due di guardia con lui.
Fatto sta che per ritornare a mente serena è stato necessario fare una fresca doccia, dopo di che i fumi dell’alcool sono spariti e così ho potuto fare la guardia coscienziosamente.
Stamattina alle sei, l’ “Aosta” ha iniziato la sua prima missione dell’anno 1944 che speriamo sia fruttuosa.
Freetown, 8 gennaio 1944
Anche la prima navigazione dell’anno 1944 è cominciata.
È stata abbastanza breve, se breve si può chiamare una missione di 1805 miglia fatta in centosettantuno ore.
Al rientro troviamo l’“Abruzzi”.
Appena arrivati, è venuto a bordo l’Ammiraglio per comunicarci che si sarebbe imbarcato di nuovo sull’“Aosta”.
Ci ha detto inoltre che siamo stati sfortunati nella nostra missione, perché gli incrociatori americani, più a sud, avevano intersecato tre piroscafi ausiliari tedeschi e li avevano catturati.
Che scalogna pero! Se fossero sfuggiti agli Americani, questa sarebbe stata per noi un’ottima occasione per farci onore.
Ma sarà per una prossima volta e speriamo che la fortuna ci assista.
Intanto un’altra notizia, questa di genere alimentare.
Dato che alcuni dell’“Aosta” hanno scambiato del pane per comprare banane dai negri delle canoe, è stato deciso di diminuire la razione a tutti.
Se pur severo, il provvedimento viene a puntino, perché è veramente da incoscienti dare via così il pane mentre magari in Italia ce ne sarà grande bisogno.
In officina abbiamo in lavorazione una macchina per fare gli spaghetti e, dato che è già in stato avanzato di lavorazione, presto potremo mangiare nuovamente la pastasciutta, delizia e gioia del nostro stomaco d’Italiani.
Il cibo inglese, infatti, non ci va proprio, così si aspetta ansiosamente il ritorno di un buon piatto sano che soddisfi il palato e l’appetito come lo desideriamo noi.
Freetown, 10 gennaio 1944
Il nostro Ammiraglio pensa proprio a tutto pur di renderci gradevole la permanenza in questa zona e per non farci sentire troppo la lontananza dalla Patria.
Così ha fatto organizzare un ottimo spettacolo di varietà sul “Duca degli Abruzzi” con il concorso di ufficiali e marinai e dell’ottima orchestra di bordo.
La rivista era “Il rancio delle beffe” che è stata realizzata in maniera davvero ottima come di raro ne avevamo visto in Italia nei grandi teatri di Genova e Taranto.
Pensare che c’erano pure delle donne, bianche per giunta, con autentici vestiti femminili, ma purtroppo con la faccia su cui cominciava a spuntare un po’ di barba e con la voce un po’ cavernosa sì da far capire chiaramente il sesso di appartenenza.
Ma in mancanza di meglio sul palcoscenico ci si può mettere anche un marò vestito da leggiadra signorina e altri tre in foggia di possibili donne arabe.
In compenso è stato uno spettacolo veramente interessante e di risate ne abbiamo fatte parecchie.
L’entusiasmo è salito al massimo quando l’orchestra ha suonato l’inno dell’“Abruzzi” creato, musica e parole, dal Con.
te Battaglia.
È veramente un bell’inno che noi abbiamo cantato a voce spiegata in attesa di poterlo sostituire con quello dell’ “Aosta” quando il direttore della nostra banda si deciderà a musicarlo.
Sono tornato a bordo molto lieto della bella serata passata sull’ “Abruzzi” che ci ha risollevato un po’ il morale, dato che presto si partirà per un’altra missione, questa volta assieme all’ “Abruzzi”.
Freetown, 11 gennaio 1944
Oggi si è imbarcato nuovamente sull’ “Aosta” il nostro bravo Ammiraglio Luigi Biancheri, il quale si è mostrato molto lieto di tornare nuovamente con noi a navigare.
Noi siamo fieri di averlo sulla nostra nave, perché siamo certi che ci porterà a fare qualcosa di buono.
Intanto è cominciato il rifornimento di nafta, viveri e acqua per la navigazione che inizierà domani ed è la quinta da quando siamo a Freetown».
Oceano Atlantico, 12 gennaio 1944
Inizia la quinta missione insieme con l’ “Abruzzi” per un’esercitazione navale e contraerea.
Si conferma ancora una volta il valore dei bravi cannonieri che si fanno veramente onore.
Pure i mitraglieri e quelli della contraerea conseguono ottimi risultati.
Dopo aver navigato assieme per trentasei ore, il “Duca degli Abruzzi” cambia rotta e si allontana per dirigersi verso la sua zona d’azione che è alquanto più ad ovest.
Freetown, 20 gennaio 1944
«Anche questa navigazione è terminata senza che nulla di nuovo sia venuto a turbare la nostra tranquillità.
Infatti, sembrava proprio una navigazione da crociera, con un mare insolitamente calmo.
Verso le nove di stamattina si è avvistato terra e dopo un’ora avevamo già posato l’ancora in porto.
Qui abbiamo trovato una novità: un incrociatore francese, il “Suffreu”, così ci sarà da divertirsi, dato l’incompatibilità di carattere fra noi e loro, quando ci si trova a terra.
Appena arrivati, una delegazione francese è salita a bordo a porgere visita di saluto al nostro Ammiraglio il quale poi è salito a bordo della loro nave per ricambiare la visita.
Nelle prime ore del pomeriggio poi l’Ammiraglio francese è venuto da noi, accolto da tutti con fredda cortesia e a denti stretti, poiché i doveri di ospitalità si devono rispettare, senza però mitigare l’odio verso i cugini d’Oltralpe.
Verso le 16, quasi contemporaneamente, sono entrati in porto anche l’“Abruzzi” e un altro incrociatore francese, il “Montreux”.
La presenza in porto di tutte queste unità da guerra si spiega così: l’accordo per le prossime destinazioni e per il codice, essendo i Tedeschi venuti a conoscenza delle chiavi di quello usato finora.
Si parla poi di un prossimo trasferimento sulle coste della Manica per favorire lo sbarco delle forze alleate sul territorio francese.
Sbarco che si prevede prossimo.
Perciò i comandanti delle quattro navi e i due Ammiragli si sono recati dal Comando inglese col quale hanno preso opportuni accordi.
Speriamo che sia vera la notizia del trasferimento, così avremo modo di contribuire maggiormente alla causa comune nell’interesse della Patria.
Freetown, 22 gennaio 1944
Stamattina, a distanza di venticinque giorni, con il mio gruppo, ho potuto andare di nuovo in franchigia.
Fortunatamente è stato disposto che i Francesi scendano a terra al nostro rientro, cioè a mezzogiorno, per evitare tafferugli.
Mi dispiace però, perché avrei volentieri malmenato qualcuno di questi “cochon” per vendicare le frasi insultanti ascoltate a Gibilterra dagli stessi marinai della “Montreaux”.
Il “Suffreu” è ripartito prima che noi scendessimo a terra, così rimane una sola nave francese in porto.
Come ho detto siamo andati in città e ci siamo divertiti più dell’altra volta».
Dopo una prolungata astinenza, i giovani marinai in città vanno alla ricerca di avventure, non dimenticando però di usare tutte le misure precauzionali suggerite.
Tornati a bordo, si tutelano ulteriormente con un abbondante bagno di permanganato.
Curiosa la gita nel quartiere del mercato dove i venditori si trovano in imbarazzo di fronte al pagamento della merce in moneta italiana.
In ogni caso, a scanso di spiacevoli sorprese, meglio evitare di tornarci una seconda volta.
Freetown, 23 gennaio 1944
«Dopo due giorni di permanenza in porto, è ripartito anche l’incrociatore francese “Montreaux”, così ora siamo rimasti solo noi e l’“Abruzzi”.
Ripartiremo domani per la sesta missione.
Ho assistito oggi ad un fatto che, se non fosse intervenuta prontamente la nostra lancia antincendio, si sarebbe risolto con la perdita di una bella nave inglese, la petroliera “Dingledale” di 15000 tonnellate.
Questa nave cisterna, che durante la mattinata era venuta sottobordo per rifornirci di nafta, nel pomeriggio, mentre si trovava ancorata nel porto, per autocombustione ha preso fuoco.
Fortunatamente c’era in mare la nostra lancia antincendio che si è diretta immediatamente verso la “Dingledale” e ha spento agli inizi le fiamme che avrebbero potuto distruggere la petroliera.
L’armamento della lancia è stato proposto per un premio dal comando.
Oceano Atlantico, 21 gennaio 1944
Questa sera alle 17 abbiamo preso di nuovo la via del mare per la sesta volta in due mesi.
Fa sempre molto caldo e dire che qui è inverno, figuriamoci quest’estate! Se rimarremo in questa zona, ci sarà da arrostire.
Ma si spera di poter tornare tra non molto in Italia.
Alla partenza da Freetown era a salutarci l’“Abruzzi” con l’equipaggio tutto schierato sulla coperta.
Al rientro da questa navigazione sarà concesso anche a noi un periodo di riposo per eseguire le necessarie manutenzioni all’apparato motore.
A quello che si prevede, si andrà in bacino, così che la sosta in porto sarà abbastanza lunga e ci potremo riposare un poco le ossa dopo tanto navigare.
E ce ne sarebbe veramente bisogno, perché in questi tre mesi l’“Aosta” ha fatto più attività che non in tre anni di guerra, avendo navigato per più di 20.
000 miglia, pari a più della lunghezza dell’equatore.
Perciò un po’ di riposo non guasterebbe.
La navigazione procede tranquilla nella notte e fra poco dovrò montare di guardia in motrice.
Saranno quattro ore di sudore: è una cura termica molto economica.
Sono certo che i reumi se ne andranno dalle ossa.
Fortunatamente adesso si mangia bene, perché la macchina della pasta funziona a perfezione e così si ha la pasta al sugo quasi tutti i giorni e ciò contribuisce a tenere alto il morale.
Il giorno dopo il rientro dalla precedente missione, cioè il 21, mi è stato comunicato che, avendo compiuto il tirocinio accessorio di imbarco, sono stato promosso fuochista art. scelto.
Ne consegue pertanto anche un aumento di paga non trascurabile che mi potrà permettere un po’ più di larghezza in franchigia, oltre ad una certa soddisfazione morale data dal grado ottenuto.
Oceano Atlantico, 29 gennaio 1944
Dopo cinque giorni di navigazione tranquilla, stasera si è verificato un fatto nuovo che è valso a ridare un po’ di tono a questa monotona missione.
Ciò è dovuto all’annuncio, dato da ricognitori alleati, che si sta navigando in un tratto di mare dove sono stati segnalati dei sommergibili.
Si è dunque in costante stato d’allarme e all’erta più che mai, per poter sventare ogni eventuale attacco.
Speriamo di farla franca anche questa volta.
Oceano Atlantico, 30 gennaio 1944
Questa mattina abbiamo incrociato l’“Abruzzi” che se ne andava per la sua zona di sorveglianza, mentre noi siamo già in rotta di ritorno a Freetown dove prevediamo di arrivare domattina, salvo incidenti, dato che siamo appena usciti da un tratto di mare insidiato da sommergibili tedeschi e qualche incontro inaspettato potrebbe essere possibile.
Ma se la fortuna ci aiuterà come ha sempre fatto finora, domani saremo in porto.
Questa missione è stata relativamente breve.
Fino a questo momento si è navigato 147 ore, ma ad una velocità abbastanza elevata, coprendo la distanza di 3100 miglia.
Stasera sono stato come tutte le sere a poppa per la preghiera.
È una gentile e commovente cerimonia che si svolge in navigazione poco prima dell’ammaina bandiera.
È suggestivo vedersi così riuniti per pregare l’Ente supremo, specialmente quando nella preghiera si allude al “riposo del popolo” e al “benedici noi che per esso vegliamo in armi sul mare”: il nostro pensiero va, infatti, alla famiglia lontana e si chiede a Dio la grazia di poterla rivedere in un giorno prossimo.
Indi segue l’ammaina bandiera e si torna al proprio posto di guardia.
Freetown, 31 gennaio 1944
Dopo 160 ore di navigazione e dopo aver compiuto 3432 miglia in ricognizione nella zona equatoriale dell’Atlantico, siamo rientrati alla base.
Contrariamente alle previsioni, non si andrà, per ora, in bacino ai lavori, ma ci si fermerà in porto per sette giorni per poi ripartire per la solita missione così che, invece di riposarci un po’, si dovrà sgobbare di più per le manutenzioni necessarie all’apparato motore.
È una bella seccatura però.
Nel pomeriggio i compagni dell’Italia meridionale hanno avuto la bella sorpresa di ricevere posta dalle loro famiglie.
Come li invidiavo, mentre li vedevo felici di ricevere notizie dai loro cari, e tra me pensavo a chissà quando potrò ricevere uno scritto da casa.
Sono ormai cinque mesi che non ho notizie e chissà ancora quanto tempo dovrà passare prima di averne.
Speriamo che le operazioni in Italia procedano celermente al fine di veder liberata dal giogo fascista e germanico la nostra bella Lombardia.
Una cosa curiosa si è saputa dalle lettere ricevute da molti compagni e cioè che in molte parti d’Italia si è diffusa la notizia che l’ “Aosta” è stato affondato e l’ “Abruzzi” danneggiato.
È già la sesta volta che il nostro incrociatore è stato dato per distrutto ed invece è più che mai intatto e vitale, e della nostra vitalità si accorgeranno ben presto i Tedeschi.
Chissà però cosa penseranno di me, se la notizia è giunta fino a loro, i miei famigliari e chissà in quale angoscia staranno per la mia sorte.
Fortunatamente sono illeso e spero in un giorno non lontano di rassicurarli personalmente.
Freetown, 1 febbraio 1944
Ieri, assieme alla posta, sono arrivati molti numeri di un giornale nuovo dedicato ai marinai italiani il “Buona Guardia”.
Dalle sue semplici, ma simpatiche pagine abbiamo appreso molti fatti che si sono verificati in Italia negli ultimi tempi e anche il riconoscimento al nostro sacrificio compiuto ai primi di settembre e alle privazioni che dobbiamo sopportare in Atlantico, lontani dalla madre Patria.
Si parla anche delle condizioni in cui versano le popolazioni delle regioni ancora occupate dai Tedeschi ed io, che ho la mia famiglia in quella zona, non posso fare a meno di fremere ogniqualvolta penso ai miei cari.
Guai se un giorno tornando a casa venissi a sapere che un fascista o un Tedesco ha fatto del male ad un mio famigliare.
Se per caso ciò avvenisse, giuro di consacrare la mia vita ad un solo scopo: la vendetta e la giusta punizione dei responsabili.
Ma spero che non avvenga niente di male e di poter un giorno riabbracciare tutti i miei cari che non vedo l’ora di ritrovare al mio caro Dumenza».
Freetown, 6 febbraio 1944
Un guasto alla trasmittente dell’“Abruzzi”, impossibilitato a fornire segnali di risposta ai radiomessaggi dell’“Aosta”, crea un momentaneo clima di allarme.
Si teme il peggio.
Poi finalmente l’“Abruzzi” torna a dare segni di vita e tutti tirano un sospiro di sollievo sentendo che ai compagni non è capitato nulla di male.
Freetown, 4 febbraio 1944
«Oggi ho fatto la terza franchigia a Freetown.
Non mi sono affatto divertito, anche perché ormai la città la conosco tutta e perciò di nuovo non c’è più niente da vedere.
Dopo aver girato un po’ a zonzo, ci siamo decisi, io e l’inseparabile Piccinini, il mio più caro amico, ad andare a visitare le varie chiese di Freetown delle diverse religioni.
La prima è stata la chiesa del S. Cuore, cattolica.
Qui ci siamo soffermati un po’ per assistere ad una funzione, poi siamo entrati nella cattedrale di S.
Giorgio, protestante, indi in quella israelitica.
Insomma ci siamo messi in pace con Dio in tutte le religioni per scrupolo di coscienza.
La franchigia l’abbiamo conclusa all’I.M.T.A., una specie di dopolavoro per i militari e qui ci siamo divertiti un po’ al ping-pong e, dopo aver bevuto qualche bibita, siamo tornati a bordo abbastanza stanchi.
Si spera, fra qualche giorno, di poter cambiare base, per vedere qualcosa di nuovo che ci renda un po’ variata la monotona vita che si conduce da circa tre mesi in questa torrida zona equatoriale».
Freetown, 7 febbraio 1944
Grande gioia per il ritorno dalla sua missione dell’ “Abruzzi” per il quale si era temuto il peggio.
In porto entra pure un incrociatore francese della marina nazionalista.
Per la serata è prevista la proiezione di un film alla quale assisterà anche una rappresentanza dell’incrociatore francese.
Oceano Atlantico, 8 febbraio 1944
«Siamo di nuovo in navigazione per una delle solite lunghe missioni contro i violatori del blocco.
È una passeggiata di sette o otto giorni per l’Atlantico e ormai ci abbiamo fatto l’abitudine.
Questa mattina, prima di partire, l’Ammiraglio è sbarcato sull’“Abruzzi”.
Come si prevedeva, ieri sera sono venuti a bordo alcuni Francesi per assistere alla proiezione del film.
Contrariamente a quanto si credeva, si sono comportati con noi in maniera corretta e, dato che parlavano un po’ l’italiano, abbiamo potuto scambiare qualche parola.
Sono anche loro stanchi di questa vita, perché è dall’inizio della guerra che non hanno notizie delle loro famiglie, dal momento che la Francia è completamente occupata dai Tedeschi.
Insomma c’è stata molta cordialità, essendo loro nazionalisti e perciò favorevoli al governo di Badoglio.
Atlantico, 10 febbraio 1944
Oggi sono esattamente dodici mesi da quando sono in marina! Un anno è passato e mi sembra ieri.
Ricordo la piovosa giornata in cui mi sono presentato a Spezia per essere arruolato e anche il giorno in cui ho messo piede per la prima volta su questo incrociatore sul quale ho condiviso soddisfazioni, ansie e pericoli con tutti i miei compagni.
Questo anniversario lo compio in navigazione e meglio non potevo desiderare, perché sono sempre al servizio della mia Patria, sebbene ciò mi costi il sacrificio di essere lontano da casa e senza notizie della mia famiglia.
Chissà cosa avverrà dei miei cari? Ripenso con angoscia alle notizie delle persecuzioni a cui sono soggetti da parte dei nazi-fascisti le famiglie dei marinai fedeli al Re.
Ma verrà pure il giorno in cui ci vendicheremo di tutto ciò, anche a costo di dover combattere contro gli amici più intimi, ma la vendetta sarà la più giusta ricompensa di tutti i nostri sacrifici.
E l’ora non è lontana, dati i favorevoli successi delle armate alleate».
Freetown, 15 febbraio 1944
Dopo i soliti sette o otto giorni di navigazione, anche questa missione giunge al termine.
Nessuna sorpresa, perché ormai i Tedeschi non ardiscono più solcare l’oceano con le loro navi e così le ricerche di naviglio nemico rimangono infruttuose.
Il cattivo stato in cui si trovano i macchinari e gli assi delle eliche richiede un immediato periodo di lavori con la probabile entrata in bacino per il carenaggio.
Freetown, 24 febbraio 1944
«Oggi ci siamo spostati nella parte settentrionale della baia di Freetown e precisamente a Rissy, dove si trova il bacino galleggiante.
Qui si eseguiranno i lavori di carenaggio.
In bacino siamo entrati stamattina rimorchiati e siamo stati sollevati dal gigantesco pontone galleggiante.
Sopra il grande tavolato, ora all’asciutto, si poggia con la grande mole delle sue 7000 tonnellate il “Duca d’Aosta”.
È stato con orgoglio che abbiamo visto gli esperti inglesi e americani ammirare la perfetta costruzione dello scafo.
È veramente una bellissima costruzione il “d’Aosta” e noi siamo più che mai affezionati a lui perché ci è fonte di grandi soddisfazioni.
Freetown, 5 marzo 1944
I lavori si susseguono alacremente e domani si uscirà dal bacino per completare le varie riparazioni in caldaia, dopodiché avremo un periodo di riposo a terra, nell’accampamento di Rissy.
A turbare un po’ la serenità del lavoro è successo un incidente che è costato la perdita di 250 cariche da 152.
È accaduto che una bettolina sulla quale erano caricate parte delle munizioni (che necessariamente si era dovuto sbarcare per alleggerire la nave in bacino), essendo avariata, l’altra notte è affondata in prossimità della riva.
Intervenuti sul posto i due palombari di bordo, si provvedeva subito al recupero delle cariche e dei proiettili che per domattina saranno ripescati tutti.
È una perdita questa che diminuisce un po’ l’efficienza della nave, poiché la polvere non è più buona, ma al prossimo rientro in Italia (che seguendo una voce abbastanza insistente dovrebbe essere il mese entrante) si provvederà alla sua sostituzione.
Dopodomani andrò a terra con i miei compagni fuochisti, essendo noi del 7/8 Reparto i più bisognosi di riposo, dato che molti lavori di riparazione li abbiamo eseguiti noi e là ci potremo rifare le ossa delle sfaticate dei giorni scorsi.
Rissy, 10 marzo 1944
Quest’oggi mi è capitato un piccolo guaio che spero non abbia gravi conseguenze.
Noi del campo di Kissy possiamo girare fin dove vogliamo nei dintorni, ma è assolutamente vietato recarci a Freetown.
Ora io e quelli della mia cricca oggi abbiamo voluto infrangere questo divieto per andarci un po’ a divertire in città.
Infatti, verso le due, ci siamo incamminati di buona lena in direzione di Freetown ed abbiamo avuto la fortuna di trovare un autocarro che ci ha trasportati in pochi minuti a destinazione.
Qui arrivati, abbiamo fatto delle compere, ci siamo svagati un po’ nei vari locali pubblici e poi ci siamo messi a girare per la città.
Ma abbiamo fatto i conti senza l’oste, in questo caso rappresentato dalla ronda di città dell’“Abruzzi”.
Dopo averci fermati, dato che eravamo privi dell’autorizzazione del comando a circolare a Freetown, ci ha preso le generalità e ci ha ingiunto di tornare immediatamente a Kissy.
Naturalmente inoltrerà rapporto al nostro comandante, così che qualche giorno di riposo supplementare a “Villa Triste” non ce lo leverà nessuno al ritorno a bordo.
Bordo, 14 marzo 1944
Questa mattina siamo tornati a bordo dopo il bel periodo trascorso a Kissy.
Adesso che ci eravamo abituati ad andare liberi con il piede sul solido, ci tocca ritornare alla monotona vita di bordo con le sue fatiche e le sue noie di carattere disciplinare.
Ieri sera, a chiusura della nostra permanenza al campo, abbiamo assistito ad uno spettacolo di varietà, realizzato nel teatrino locale da una compagnia formata dai nostri dell’“Aosta” e da alcuni marinai inglesi di stanza a Kissy.
Con perfetto cameratismo con i colleghi anglosassoni, ci siamo divertiti nell’ascoltare musiche italiane e inglesi, interpretate magistralmente dal complesso musicale e vocale internazionale.
Intanto ci è stata comunicata la notizia dell’arrivo dell’incrociatore “Garibaldi” che sostituirà l’“Aosta” in Atlantico, così noi torneremo in Italia.
Il “Garibaldi” arriverà il giorno 18 e usciremo noi e l’“Abruzzi” ad incontrarlo per poi eseguire delle esercitazioni di tiro antiaereo e navale.
Il signor Maggiore ci ha pure proposti per un premio, a ricompensa del lavoro fatto».
Freetown, 18 marzo 1944
Come preannunciato, giunge il “Garibaldi” direttamente dall’Italia.
L’incontro coi nuovi venuti risveglia i più teneri sentimenti di cameratismo.
È una festa che si tinge di un sano orgoglio, quando cannonieri e mitraglieri possono dimostrare la loro destrezza.
Iniziano anche i lavori per la sostituzione del complesso da 100/47, la cui rottura aveva provocato la morte di due compagni.
Un particolare riconoscimento il Maggiore, direttore di macchina, riserva ai fuochisti che abilmente sono stati in grado di costruire ex novo tutti i pezzi di ricambio per le motrici e le caldaie.
Freetown, 20 marzo 1944
«Il “Garibaldi”, venendo dall’Italia, ha portato molta posta per quelli che hanno la fortuna di avere la famiglia nella zona liberata ed io che purtroppo ho i miei ancora nelle mani dei Tedeschi non mi aspettavo nulla, ma quale è stata la mia sorpresa quando, tra i chiamati dal postino, ho sentito il mio nome.
Mi sono precipitato, ma era solo una cartolina militare che non veniva dai miei come avevo per un attimo sperato, bensì dalla Maddalena dove ho due amici.
Terminata la lettura di quella cartolina, sono rimasto molto addolorato, poiché essa mi portava una gran brutta notizia.
Infatti, era l’altro mio amico Francesco Merli che mi comunicava la morte in combattimento contro i Tedeschi del mio carissimo compagno d’infanzia e compaesano Renato Vasconi.
Questa notizia mi ha messo molta tristezza addosso, essendo Renato un bravo amico col quale ho trascorso molto tempo della mia giovinezza.
Inoltre Francesco mi pregava, nel caso in cui avessi avuto la possibilità di tornare a casa, di avvertire la sua famiglia.
Purtroppo però sono in brutte condizioni anch’io.
Lontano dalla Patria, dalla famiglia e senza possibilità di avere notizie dei miei cari, è veramente una cosa da impazzire.
E adesso la morte di uno dei pochi amici che avevo.
È il destino avverso che vuole così.
Ma la morte di Renato sarà vendicata! Quei cattivi Italiani, che ora in compagnia dei barbari Tedeschi dilaniano la Patria, verranno un giorno non lontano puniti delle atrocità e delle vittime che ora irrorano con il loro sangue il disgraziato suolo d’Italia».
Freetown, 21 marzo 1944
La partenza per l’Italia è ormai prossima.
Le operazioni di imbarco del personale procedono a pieno ritmo.
A bordo ci sarà anche un gruppo di commilitoni anziani dell’“Abruzzi” che verrà riportato in Patria.
Dopo l’ispezione generale da parte dell’Ammiraglio, l’“Aosta” volgerà la prora verso nord.
Dopo quattro mesi e mezzo di permanenza in Africa, in tutti è vivo più che mai il desiderio di tornare ai propri lidi.
Freetown, 22 marzo 1944
«Stamani è venuto a bordo l’Ammiraglio il quale ha fatto un’ispezione alla nave e presenziato ad una esercitazione di posto di combattimento.
Nel pomeriggio poi ci siamo riuniti in assemblea a poppa, tutti in divisa estiva nazionale.
Che sensazione ho provato nel rimettere dopo tanto tempo i pantaloni lunghi e il bianco camisaccio: sembrava di essere legato e carico di panni, dato che qua in questi climi l’abbigliamento normale è costituito dai soli calzoncini coloniali e dagli zoccoli.
Nella riunione tenuta a poppa, l’Ammiraglio, nel corso di una lunga conversazione, ci ha illustrato l’opera svolta da noi in Atlantico, le ripercussioni e i vantaggi ottenuti, indi ci ha detto che avrebbe dovuto lasciarci, essendo l’“Aosta” passato a far parte della VII divisione agli ordini dell’Ammiraglio Oliva, destinata in Italia.
Ci dispiace molto che ci lasci l’Ammiraglio, avendo potuto constatare quanto egli abbia fatto per noi durante questi mesi di permanenza in Africa, ma anche la prospettiva di tornare in Patria è piacevole e si spera che avvenga prestissimo, pur trovandomi nell’impossibilità di tornare a casa.
Con noi in Italia ritornerà anche il “Garibaldi”, mentre l’ “Abruzzi” rientrerà fra un mese, dopo che avrà ultimato i lavori di revisione in corso».
Oceano Atlantico, 26 marzo 1944
Le navi riprendono la navigazione, stavolta però non per la solita missione, ma con rotta su Gibilterra.
Un rientro in Patria accolto con gioia da tutti, perché la nostalgia per la propria terra si fa sentire in modo struggente.
Il mare è abbastanza mosso.
Qualcuno comincia a ridare alla luce il cibo di mezzogiorno o per meglio dire a “ramare” Gibilterra, 30 marzo 1944
«Dopo cinque giorni di navigazione, siamo entrati nel porto della formidabile Gibilterra.
È stata una navigazione abbastanza movimentata, perché il mare era agitato e la nave ballava maledettamente.
Quelli a pagliolo si contavano a decine.
Siamo passati all’altezza delle Canarie, lunedì alle 16 ed abbiamo intravisto le sagome nereggianti delle isole.
Oggi alle tredici si è cominciato a vedere il litorale africano che abbiamo costeggiato per tutto il tragitto.
Prima di entrare nello stretto, siamo passati attraverso il fitto sbarramento di mine, seguendo la rotta di sicurezza che due idrovolanti americani a pelo d’acqua ci indicavano mediante fumate.
A Gibilterra siamo entrati alle 18.
Qui abbiamo trovato molte navi, fra le quali un caccia americano di sagoma mai vista.
Ma quello che abbiamo notato con meraviglia è stata una petroliera inglese, letteralmente divisa in due da qualche siluro e bomba di stucken.
Chissà come avrà fatto a rientrare in porto? Si è già iniziato il rifornimento completo di nafta e acqua, perché si prevede di partire domani per Taranto.
Algeri, 21 aprile 1944
Come era previsto, siamo partiti subito ieri sera da Gibilterra.
Dopo una breve navigazione di sedici ore, ci è stato impartito l’ordine di entrare nel porto di Algeri per prelevarvi un gruppo di prigionieri italiani che rimpatriavano.
Infatti alle 15 eravamo in porto e ho potuto ammirare la bella città che si vedeva vicina.
Dalla disposizione e dai grandi palazzi novecenteschi assomiglia a Genova, anche perché sullo sfondo si vedono le colline che pure dalla “Superba” si scorgono poco distanti.
A variare però lo stile europeo di Algeri vi è la parte del quartiere arabo con le sue piccole case orientali e le sue moschee, affiancate dagli alti minareti.
È insomma una città che mi piace.
Peccato che si debba ripartire fra poco, altrimenti sarebbe bello trascorrervi qualche ora di franchigia.
Il gruppo di Italiani ormai è interamente imbarcato e fra di loro si nota il Comandante Giuriani, già comandante in 2ª dell’ “Aosta” ai tempi della crociera del ’37.
Vi sono pure alcuni operai e quattro marinai polacchi che sono di passaggio per imbarcarsi su dei mas.
Grande è stata la commozione dei nostri connazionali nel mettere piede sull’ “Aosta” che rappresenta per loro un lembo della nostra Patria.
Canale di Sicilia, 2 aprile 1944
Siamo partiti da Algeri alle 18 di ieri ed ora, dopo aver costeggiato l’Algeria e la Tunisia e dopo aver lasciato alla nostre spalle il Capo Bon, siamo in quel famoso canale che ha visto le gloriose imprese della nostra Marina contro la poderosa flotta inglese.
Quanti luminosi fatti di eroismo sono stati compiuti qui dai nostri commilitoni, molti dei quali purtroppo sono morti nel nobile intento di impedire al nemico di passare.
Solo la decimazione della nostra flotta dopo quattro anni di guerra ha potuto vincere la Marina italiana, ma i nomi delle battaglie sostenute vittoriosamente nelle varie zone del Mediterraneo impongono al mondo il rispetto per le nostre navi superstiti e per i gloriosi Caduti del mare.
Domani saremo a Taranto e così potremo di nuovo rivedere la nostra Patria dalla quale manchiamo da cinque mesi durante i quali si è navigato in Atlantico per poter contribuire alla disfatta del nuovo nemico che purtroppo occupa ancora gran parte della nostra terra, ma verrà presto il giorno in cui sarà scacciato dal sacro suolo italiano e si potrà ritornare ad abbracciare i nostri cari dei quali non ho nessuna notizia, ma ho fede: li rivedrò e fra non molto.
Voglia Iddio che possa essere esaudito il mio voto.
Taranto, 3 aprile 1944
Siamo in Patria! Alle ore 17, dopo aver passato il ponte girevole tra una folla abbastanza ostile (ma ormai al carattere e alla mascalzoneria dei Tarantini siamo abituati), si è dato fondo all’ancora nella rada del mare interno.
Finalmente, dopo sei mesi di permanenza all’estero e in Atlantico, possiamo rivedere il suolo della nostra Patria, anche se calpestato da gente straniera, ma che contribuisce anch’essa alla completa liberazione della nostra terra.
Peccato che il nostro rientro sia stato un po’ amareggiato dal contegno veramente fuori luogo tenuto dal popolo tarantino.
Io credo che con tutto quello che si è fatto per l’Italia col nostro sacrificio, non ci siamo affatto meritati quei fischi che qualche farabutto venduto e vile ha lanciato verso di noi.
Sebbene il nostro orgoglio sia stato ferito da tale inspiegabile accoglienza, ce ne freghiamo altamente del loro giudizio, perché sappiamo di aver fatto il nostro dovere fino all’ultimo e verrà certamente il giorno in cui la nostra opera sarà riconosciuta.
In porto, oltre alle varie navi inglesi, americane ecc., abbiamo pure trovato il gemello dell’“Aosta”, l’“Eugenio di Savoia” il quale è danneggiato gravemente per l’urto contro una mina galleggiante che ha provocato una vasta falla nel fondo dello scafo in corrispondenza della matrice di prora.
Anche questo incrociatore sarà fuori combattimento per molto tempo.
Vi sono pure il “Cadorna”, sempre in riparazione e diversi caccia tra cui il “Velite”, sul quale sono imbarcati due miei compaesani che andrò a trovare non appena sarò franco.
La permanenza a Taranto sarà di breve durata, avendo riportato il “Garibaldi” una leggera avaria, per cui fra alcuni giorni riprenderemo il mare per compiere la missione che avrebbe dovuto fare quell’incrociatore.
Ritarderemo pertanto di una decina di giorni il periodo di riposo che giustamente ci spetta.
Mare Jonio, 5 aprile 1944
Siamo di nuovo in navigazione, dopo quarantotto ore di sosta a Taranto, durante le quali ho avuto modo di recarmi a terra in franchigia.
La meta è Cagliari dove scaricheremo il personale sardo dell’“Aosta” che va in licenza.
Saremo a Cagliari domani sera, salvo complicazioni, e così avremo modo di visitare anche questa città.
Poco prima della partenza da Taranto, è venuto a bordo l’Ammiraglio di Squadra Sansonetti il quale ha avuto parole di elogio per l’opera svolta in Atlantico e ci ha incoraggiati con parole elevate per le missioni che si svolgeranno in futuro nell’Atlantico o nel Mediterraneo.
Poi è ritornato alla sua nave.
L’uscita dal porto è stata abbastanza commovente, essendoci molta gente ad assistere, così che si è un po’ attenuata in noi l’impressione sfavorevole prodottasi all’arrivo.
Ora è notte e si naviga velocemente verso lo stretto di Messina che si doppierà fra quattro ore per poi puntare direttamente sulla rotta di Cagliari dove sono ansioso di arrivare.
Cagliari, 6 aprile 1944
Ed eccoci in Sardegna! Per la seconda volta vedo questa aspra terra, arida e forte.
Ma quale differenza dalla prima volta! Ai nostri occhi si presenta una città, capitale dell’isola, ma in quali condizioni! Le belle case e i palazzi ora sono ridotti ad un ammasso di rovine prodotte dai bombardamenti aerei.
Solo qualche abitazione non è rimasta segnata dalle bombe.
In porto si scorgono affiancate due navi recentemente recuperate dal fondo del porto, che recano gli squarci delle bombe.
Vi sono inoltre molte navi americane e un “tremila”, cioè un incrociatore italiano.
A Cagliari siamo arrivati alle 15 e probabilmente partiremo domani sera per Napoli con un carico di truppe che rimpatriano, perciò è poco probabile che si vada in franchigia.
Napoli, 8 aprile 1944
Dopo una buona traversata, durata dodici ore, siamo entrati in porto col nostro prezioso carico di truppe stamani alle otto.
Ieri, nel pomeriggio, sono affluiti a bordo con materiale ed equipaggiamento completo, mille soldati con i rispettivi ufficiali che dobbiamo riportare in Patria dopo diciassette mesi di permanenza in Sardegna.
Verso sera, terminato il carico ed il rifornimento, si è ripreso il mare.
Quante scenette sono successe a bordo con questi compagni terrestri, non abituati alle navi! Chi si raccomandava l’anima, chi si accaparrava un salvagente, insomma avevano tutti una paura matta di andare a fondo e ci è voluta l’autorità degli ufficiali per farli scendere nei locali loro assegnati.
Volevano a tutti i costi rimanere in coperta, pensando di potersi salvare in caso di sinistro.
Ma certamente ci avrebbero guadagnato una buona doccia fredda, perché in navigazione ad alta velocità il mare facilmente manda le sue ondate a spazzare i ponti.
Con loro grande gioia stamane siamo entrati in porto a Napoli.
Anche qui ovunque è rovina a causa dei bombardamenti e delle distruzioni operate dai Tedeschi.
Ci fanno attraccare alla banchina a pochi metri da dove si vede emergere rovesciato sul fianco il poderoso scafo del nostro gemello, affondato da bombe aeree nel dicembre del 1942, il “settemila” “Muzio Attendolo”.
Malgrado tutti i tentativi, non si è più riusciti a risollevarlo, così che ora è stato trasformato in pontile.
Si vedono emergere tutte le parti del fondo, la prora slanciata e l’asse con l’elica di sinistra: sembra un’enorme balena morta che si sia arenata.
Nelle vicinanze vi sono pure altre navi, in parte semiaffondate, in parte rovesciate.
Lontano, la nave-ospedale “Sicilia” che giace sul fianco, il “Lombardia” tutto appruato, una torpediniera della quale emerge solamente una parte della prora con il cannoncino che pare ancora voglia sparare in una estrema difesa del porto contro gli aerei avversari.
A vedere tante navi di strutte e la città, in questa zona assai rovinata, ci piange il cuore e si pensa a quanti fratelli nostri sono caduti sotto il fuoco nemico di allora e di adesso.
Gli edifici che circondano il porto sono in parte distrutti e in parte danneggiati, particolarmente la stazione marittima del molo Razza ed alcune chiese delle quali si vedono le cupole sventrate.
Nelle vicinanze vi è pure il luogo in cui esplose l’anno scorso quel piroscafo carico di munizioni: lì è il caos.
Case sventrate, carcasse di navi scaraventate sulla banchina ed i capannoni dei magazzini ridotti ad un ammasso di ferraglie contorte.
Intanto sono sbarcate tutte le truppe e siamo già pronti per il ritorno a Cagliari, dove porteremo pochi soldati ed una famiglia sarda con una ragazza abbastanza bella che naturalmente i signori di poppa si sono accaparrata.
Una squadra di franchi è andata a terra e si sono abbastanza divertiti, peccato che ci vogliano troppi soldi perché la vita è cara.

Incrociatore “Emanuele Filiberto Duca D’Aosta”’

Cagliari, 9 aprile 1944 (Santa Pasqua, sera)
Arrivati a Cagliari, ho appreso che ero nel turno di franchigia e così oggi nel pomeriggio mi sono recato a terra per poter trascorrere qualche ora di svago con i miei amici.
Era con me l’inseparabile Piccinini al quale mi lega un’amicizia profonda.
Con lui faccio la guardia in macchina di prora, sono del suo rancio e sono destinato assieme a lui in officina e si può dire che l’intera vita di bordo la trascorriamo insieme.
È un bravo ragazzo, anche se un po’ mattacchione, ma l’allegria è la dote principale di un marinaio.
Con lui perciò faccio le mie franchigie.
Oggi ci siamo recati a terra e, invece di visitare Cagliari (dove per la verità c’era poco da ammirare, essendo quasi tutto distrutto dai bombardamenti aerei), ci siamo spinti nell’interno della provincia, a Quarto S.
Elena, dove abbiamo trovato il fratello di un mio amico, venuto per l’occasione anche lui con noi.
Il fratello è uno della Fanteria, ed essendo già da diciassette mesi in Sardegna, conosce i posti e ha potuto guidarci nei ritrovi migliori della simpatica cittadina.
Dopo tre ore di allegra compagnia, siamo ritornati a Cagliari.
Nel tragitto è salito sul nostro tram un aviere con un gruppo di amici, uno dei quali suonava la fisarmonica.
Ci siamo messi a cantare e così spensieratamente siamo arrivati in città.
Qui abbiamo trovato il modo di farci salassare in una trattoria per un misero pranzetto pagato a peso d’oro.
Ma il bello è venuto dopo, quando siamo arrivati al porto e non si vedeva affatto il mezzo di farci traghettare alla nostra nave, essendo già scuro, perché nella nostra allegria non ci eravamo accorti che l’ora del rientro era già passata da un pezzo.
Finalmente una Diesel del “Pompeo Magno” è accorsa al nostro richiamo e ci ha riportato a bordo dove tuttora siamo in attesa di punizione.
Ecco come ho trascorso la S. Pasqua senza neppure poter adempiere al precetto pasquale.
Napoli, 12 aprile 1944
Anche questa missione è stata compiuta felicemente.
Dopo dodici ore di traversata, stamane siamo entrati nel porto di Napoli con il nostro prezioso carico di 1300 soldati dell’Esercito.
Fra di loro ho avuto la fortuna di trovare alcuni della provincia di Varese e uno proprio di Germignaga.
Con commozione ho rivisto gente delle nostre parti con le quali ho potuto scambiare qualche parola nel nostro dialetto e parlare un po’ del nostro lago.
La navigazione si è svolta benissimo, malgrado la luna che era nel suo pieno splendore come fosse di giorno.
Un sommergibile nemico che si fosse trovato sulla nostra rotta avrebbe fatto di noi un magnifico bersaglio, ma ciò non è avvenuto e faccio i debiti scongiuri affinché non avvenga mai.
Da un soldato imbarcato ieri ho saputo che il “Nembo”, il reggimento di cui fa parte Ezio Mordacchini, è nelle vicinanze di Cagliari, così, pochi minuti prima di partire, ho scritto una lettera e l’ho data da imbucare a terra.
Non so se gli arriverà, o se sarà ancora in Sardegna, perché, dato il suo carattere, sono propenso a credere che sia andato di “là”.
Ma pure ho nel cuore la speranza che lui sia qui, perché quando m’hanno detto che il “Nembo” era vicino, ho avuto uno strano sussulto che credo di poter bene interpretare per la voce dell’amicizia, poiché Ezio è il mio più grande amico al quale sono affezionato più di un fratello.
Taranto, 15 aprile 1944
Finalmente è finita, siamo in porto e credo che per un po’ di tempo di navigare non se ne parlerà più, dato lo stato in cui sono ridotti i macchinari durante sette mesi di continuo girare quasi senza interruzione.
Infatti, da quando siamo partiti da Genova, abbiamo navigato per la bellezza di 35.000 miglia marine, pari a 63.000 chilometri .
Credo che un po’ di riposo ci spetti almeno per rifarci le ossa.
I Sardi li abbiamo lasciati in licenza a Cagliari, i Napoletani pure loro sono andati a casa per quindici giorni, i Siciliani, i Calabresi, i Pugliesi e i Lucani partiranno a breve, così potranno riabbracciare le loro famiglie, mentre noi che abbiamo ancora i Tedeschi in casa dobbiamo roderci le unghie ed inghiottire il nodo che ci sale alla gola al vedere i meridionali andare a casa.
Che ne sarà dei nostri cari? È un pauroso interrogativo che ci si pone e molte volte non ci lascia nemmeno dormire e ci tiene accigliati per la maggior parte della giornata.
Ho provato a mandare a casa mie notizie per mezzo della Croce Rossa, ma ho dubbia convinzione che si possa riuscire, dato il clima di terrore imposto dai Tedeschi nelle zone settentrionali.
Ma finirà presto questa tremenda avventura e torneremo a casa.
Il viaggio da Napoli a Taranto si è svolto bene, senza cattivi incontri.
Partiti a mezzogiorno dalla città del Vesuvio, alle venti eravamo già davanti a Messina e, dopo aver navigato tutta la notte, stamane alle otto si gettavano le ancore e si attraccava alla banchina vicino al “Cadorna”, eternamente in riparazione, ed il monitore inglese che volge verso il nord i suoi formidabili cannoni ormai inutili.
Più lontano si scorge l’ “Eugenio di Savoia” tutto lustro come fosse un damerino, ma si vede che quella gente non ha provato a navigare in Atlantico, perché non avrebbe potuto tenere la vernice esente dalla corrosione delle gigantesche onde e dal sole tropicale di Freetown.
Adesso sono fermi ed hanno la certezza di restarvi per un pezzo, essendo stati colpiti da una mina intelligente che li immobilizzerà sino a fine guerra.
La loro parte la dovremo fare noi, specialmente quando, al momento opportuno, ci trasferiremo sulle rive della Manica per favorire lo sbarco sul continente.
Se sopravvivremo a quell’azione, se ne potranno contare delle belle.
Ma per ora è meglio non pensarci e cercare di rimettere in efficienza l’ “Aosta” nel minor tempo possibile, affinché si possa continuare a tener alta la bandiera italiana ed il buon none della R. Marina.
Taranto, 16 aprile 1944
È proprio vero che la voce del cuore non inganna! Come ansiosamente speravo, Ezio si trova ancora nei ranghi del “Nembo” ed anche lui contribuisce alla libertà della nostra Patria.
Me lo ha comunicato lui stesso con una sua lettera che mi è arrivata stamattina e che mi ha riempito di gioia.
È una consolazione per me sapere che questo mio grande amico, quasi un fratello, si trova da queste parti, così potrò scambiare con lui una copiosa corrispondenza che contribuirà a farmi dimenticare un po’ l’angoscia che quotidianamente mi assale al pensiero della famiglia lontana.
Che ne sarà di loro? E cosa sarà accaduto a José? Mi avrà dimenticato? Sono tutti interrogativi ai quali cerco di rispondere, ma purtroppo, al solo pensarci, un nodo mi sale alla gola e mi rende quasi continuamente taciturno e triste come del resto succede ai miei compagni dell’Italia occupata.
Una tristezza in questi giorni più accentuata dal fatto che tutti quelli dell’Italia meridionale e delle isole sono andati in licenza mentre a noi tocca restare a bordo.
Ma ormai noi “Italiani all’estero”, come ci definiamo, siamo induriti nella nostra pena e ci ha fatto soverchia impressione la notizia molto accreditata che, quando saranno finite le poche riparazioni necessarie ai macchinari, ci toccherà andare in Inghilterra per cooperare allo sbarco degli Anglo-americani e quella sarà un’avventura dalla quale difficilmente usciremo incolumi.
Se però si dovesse sopravvivere, sappiamo che il premio più ambito per noi sarà la soddisfazione di aver aiutato ad abbreviare il periodo di tempo che ci tiene distanti dalle nostre famiglie, perché con quello sbarco la Germania sarà in breve sconfitta e la guerra, almeno in Europa, finirà.
Se invece il destino volesse che si debba immolare la nostra vita nella grande impresa, i nostri cari saranno fieri di noi, perché noi marinai, pur di rimanere fedeli al nostro giuramento al Re, ci facciamo inabissare con la nostra nave, ma traditori: MAI! Taranto, 19 aprile 1944
Questa mattina è avvenuto un fatto di notevole importanza per noi e per l’ “Aosta”: il cambio del comandante.
Infatti il capitano di vascello D’Aloya lascia il comando di questa nave al capitano di vascello Zita per raggiunta anzianità di navigazione.
Ci dispiace moltissimo che il comandante D’Aloya ci lasci, perché in quattordici mesi di sua permanenza sull’ “Aosta”, abbiamo avuto modo di affezionarci a lui che è stato sempre come un secondo padre.
Con noi ha attraversato il più nero e burrascoso periodo della Marina italiana, eppure con la sua energia ha saputo tenerci uniti e fedeli anche quando tutto sem brava finito e la nazione crollava per l’omicida ambizione di pochi.
Le navigazioni, dopo l’armistizio, sono state il periodo più intenso.
Infatti l’“Aosta”, dal 9 settembre 1943 al 15 aprile 1944, ha percorso 35.000 miglia, cifra che può considerarsi un primato difficilmente raggiungibile.
Nel suo discorso di commiato ha avuto parole di elogio e di ringraziamento per tutto l’equipaggio, ma particolarmente per noi uomini delle macchine (noi “Mano nera”).
Con il nostro duro lavoro e con le estenuanti ore di guardia ad alte temperature come quelle che ci sono in macchina, specialmente in zone tropicali, abbiamo sempre fatto camminare l’“Aosta” nelle migliori condizioni senza che un’avaria venisse a compromettere la sicurezza della nave, poiché la guardia la si faceva coscienziosamente.
Il comandante Zita, che prende possesso ora della nave, ha avuto pure lui parole di saluto verso di noi ed ha detto che continueremo sempre come in passato ad essere volenterosi e diligenti in tutto.
Il nuovo comandante è un bravo ufficiale già decorato di medaglia d’argento e siamo sicuri che ci saprà guidare sempre verso mete più ambite.
Con il comandante in 1ª è sbarcato pure il comandante in 2ª, Riccardo Boris che è stato sostituito dal capitano di corvetta Benedetto Luchetti.
Anche lui è un ottimo ufficiale ed ha già fin da oggi preso in esame dei provvedimenti per migliorare la vita dell’ equipaggio.
Siamo sicuri che con comandanti di tale valore potremo continuare orgogliosi nella nostra opera di collaborazione per la liberazione del nostro Paese.
Taranto, 20 aprile 1944
Stamattina, come era nelle nostre aspirazioni, finalmente siamo riusciti ad adempiere il precetto pasquale.
Con una semplice, ma commovente cerimonia, il cappellano della divisione, dopo brevi parole di preparazione, ci ha impartito la Santa Comunione in modo che anche quest’anno ho potuto fare il mio dovere di cattolico.
Spero la prossima volta di farlo a casa, ma per ora la speranza è ancora lontana, dato l’attuale conflitto che ci tiene divisi dalla nostra terra.
Taranto, 20 maggio 1944
Oggi compio ventuno anni.
Posso considerarmi un uomo.
Ma in quale situazione mi trovo? Lontano da casa, senza notizie dalla famiglia e dalla mia “bimba”.
Che ne sarà di lei? Mi avrà dimenticato? Chissà? È un terribile enigma che a volte mi rende nervoso in maniera impressionante, ma spero che tutto proceda bene e la possa ritrovare fra non molto.
È un mese circa che non scrivo più, ma c’è ben poco di interessante in tutti gli avvenimenti trascorsi, tranne una piccola epidemia di vaiolo, prontamente stroncata.
La vita si svolge piatta e normale con una monotonia estenuante, ma verrà presto il giorno in cui ci potremo muovere e ritornare a battere il mare.
L’“Abruzzi” è rientrato da Freetown, ma è subito ripartito per Alessandria.
Ho ricevuto posta da Ezio che un fuochista sardo, rientrato dalla licenza, mi ha detto di aver trovato a Napoli.
Intanto la battaglia per Roma prosegue e si prevede presto la capitolazione della città».
Taranto, 28 maggio 1944
Mentre i marinai assistono ad una proiezione sul castello della nave, i clakson si mettono a gracchiare ad intermittenza, secondo un segnale ben noto e temuto: allarme aereo.
Un banale incidente mette in subbuglio i mitraglieri.
Infatti, durante l’immissione di un caricatore in una mitragliera pesante, scatta la sicurezza e l’arma si mette in funzione automaticamente fino all’esaurimento dei sei colpi.
Per fortuna le canne sono ancora in posizione di assetto normale, cioè in punteria orizzontale, in corrispondenza del piroscafo.
Sarebbero bastati pochi millimetri di spostamento dell’arma e la scarica si sarebbe abbattuta su due armieri americani di un “Liberty” ancorato vicino.
Taranto, 4 giugno 1944
«Scrivo dalla branda dell’infermeria dove sono ricoverato per un doloroso male che mi obbliga al riposo.
Già ieri avevo avvertito allo stinco sinistro un gonfiore che mi generava dolore ogniqualvolta dovevo camminare, così stamattina mi sono recato in infermeria per farmi visitare.
Il dottore, dopo attento esame, mi ha riscontrato un principio di artrite reumatica e mi ha fatto ricoverare.
Intanto il gonfiore va man mano aumentando e la gamba mi duole fortemente.
Mentre ero così dolorante in branda, ho udito per radio il suono della “Marsigliese” ed ho notato una insolita animazione per la nave.
Ho chiesto notizie e mi è stato detto che le truppe alleate sono sbarcate in Francia costituendo così il tanto atteso secondo fronte.
Speriamo che con questa azione sia affrettata la fine di una lotta che infuria da quattro anni.
Intanto le truppe alleate in Italia combattono nelle vicinanze di Roma e fra qualche giorno la Città Eterna sarà libera dalla tirannide tedesca.
Taranto, 6 giugno 1944
Stamattina ho dovuto subire un intervento chirurgico alla gamba che si era gonfiata ed annerita.
È stato un quarto d’ora terribile quello durante il quale il medico mi ha inciso, non troppo delicatamente, la parte malata da cui è uscito un fiotto di sangue nerastro.
Ora sono in branda tutto dolorante per la ferita, ma speriamo che questo sia un bene e che possa essere presto guarito.
Il comandante, nella sua quotidiana visita alla nave, si è interessato del mio stato di salute e mi ha rivolto parole di incoraggiamento, indi mi ha inviato alcuni giornali da leggere per alleviare un po’ la noia di queste ore di branda».
Taranto, 13 giugno 1944
I lavori sono terminati e la nave esce in Mar Grande per le prove di macchina e le esercitazioni di tiro.
Inizia una nuova missione a Bona per riportare in Italia circa 600 prigionieri italiani contenti di poter tornare in Patria dopo una lunga prigionia nell’arida terra africana.
Tra questi soldati ci sono anche molti lombardi tra i quali uno di Gazzada.
Wando però non è ancora in grado di riprendere servizio.
Inaspettatamente, mentre si prevede entro poche ore l’arrivo a Taranto, per ordine superiore la nave fa tappa a Malta per trasportare un altro gruppo di militari in Italia.
Nel porto di La Valletta si notano, più che nelle altre parti dell’isola, le terrificanti conseguenze dei bombardamenti compiuti dagli aerei italiani.
Non c’è casa che non rechi le tracce delle bombe.
Pure numerose le carcasse delle navi che giacciono sul fondale, sventrate dalle esplosioni delle bombe degli aerei e dei micidiali mezzi d’assalto della R. Marina.
La Valletta, 17 giugno 1944
«È una triste data questa per me! Sono, infatti, quindici anni esatti che la mamma è morta.
Quindici anni.
Sembra incredibile, perché ancora distintamente ricordo quel funesto giorno in cui mi venne a mancare l’affetto di quella che fu il mio più grande amore: la mamma! In questi quindici anni purtroppo molte volte ne ho risentito la mancanza, sebbene la nonna e i miei famigliari si siano sforzati di supplire con il loro grande affetto e a costo di sacrifici mi hanno cresciuto ed educato.
A loro io debbo se sono un uomo ed a loro andrà sempre la mia eterna riconoscenza per quello che hanno fatto per me.
Purtroppo questo anniversario mi coglie lontano dalla famiglia, nell’adempimento di un duro dovere reso ancor più aspro dal pensiero di sapere i miei cari in mano ad uno spietato nemico, ma presto verrà la liberazione e la vendetta.
Questa sera ripartiremo per Taranto, avendo già ultimato l’imbarco delle truppe che da Malta vanno in Italia.
Sono per la maggior parte partigiani della Iugoslavia che hanno terminato un periodo di convalescenza in quest’isola ed ora rientrano ai loro fronti di combattimento.
Sono molti quelli di nazionalità italiana (specialmente Istriani) fra di loro e sono entusiasti della lotta che conducono contro i Tedeschi, perché sono certi della vittoria a compenso dei loro sacrifici.
Taranto, 18 giugno 1944
Finalmente anche questa missione è terminata ed i nostri soldati prigionieri che abbiamo riportato in Patria sono molto contenti di aver potuto rivedere la nostra cara Italia per la quale hanno combattuto e sofferto una lunga prigionia.
Peccato che a terra li attenda l’atroce disillusione dell’egoistica incomprensione da parte di quella feccia di gente che sono i Tarantini, imbevuti solo della loro idea politica e capaci solamente di fare questioni di partito invece di accogliere un po’ fraternamente questi soldati che per la Patria tutto hanno dato.
Questa città con una popolazione simile fa semplicemente schifo e le auguro di cuore di poter provare quello che hanno provato le nostre belle città settentrionali per poter punire il suo egoismo che deriva dal fatto di non aver sperimentato minimamente gli orrori della guerra, ma di aver vissuto alla spalle, sfruttandoli, di coloro che la guerra la fanno in silenzio, ma non meno pericolosamente: i marinai.
Taranto, 22 giugno 1944
Dopo quattro giorni di sosta siamo ripartiti per una nuova missione.
Ormai il periodo di intensa attività è incominciato e per alcuni mesi dovremo navigare parecchio.
Stavolta la nostra meta è Biserta.
Io sono sempre in infermeria perché ieri mattina, essendosi estesa verso la caviglia l’infezione, il dottore ha ritenuto opportuno incidermi nuovamente la gamba.
È indescrivibile il dolore che ho provato, ma ora è passato e credo che dopo questo taglio il male si sia sfogato e spero di entrare presto in via di guarigione.
Ho la gamba tutta dolorante ed il minimo movimento mi procura delle trafitture.
Che questo supplizio finisca presto, altrimenti mi dovranno mandare all’ospedale.
Biserta (Tunisi), 23 giugno 1944
Dopo ventiquattro ore esatte di navigazione, siamo giunti a questo porto che fu già nostro e fu teatro dei combattimenti svolti l’anno scorso.
Ovunque sono i segni dei bombardamenti sotto forma di navi semi-affondate (anche nel canale che dà accesso al porto interno ve ne sono diverse e per entrare bisogna ricorrere all’ausilio del pilota), di case distrutte e di opere portuali divelte.
Si attracca alla banchina e già molti prigionieri italiani che lavorano per gli Americani vengono sottobordo a recarci il loro saluto.
Stanno molto bene e ritengo che sia riservato loro un trattamento molto migliore del nostro che in questi ultimi tempi è pessimo, sia come viveri che vestiario.
Napoli, 25 giugno 1944
Per la terza volta rivedo la bella città partenopea con il suo fumante Vesuvio che le fa da sfondo.
Siamo partiti da Biserta dopo aver imbarcato circa 400 prigionieri italiani che rimpatriavano.
È stata una navigazione molto veloce perché compiuta in dodici ore seguendo la rotta ovest - Sicilia.
Napoli ci è apparsa stamane immersa in una fitta nebbia che si dissolveva man mano che il sole sorgeva ad illuminare il magnifico golfo e le sue riviere lussureggianti.
È veramente una città incantevole e se non fosse per il triste spettacolo che offrono le molte case distrutte dai bombardamenti e le numerose navi semiaffondate che emergono dal basso fondale con le soprastrutture squarciate dalle bombe, si penserebbe di essere in un luogo di paradiso.
E tale doveva essere in tempo di pace quando invece dei “Liberty” o degli incrociatori navigavano su questo incantevole golfo le belle barche caratteristiche di Napoli con le loro allegre brigate in continua festa alla poesia e alla bellezza.
Ora tutto è mutato.
Un traffico febbrile formicola nel porto e nel golfo e la bellezza classica di Napoli è cambiata dal grande viavai di navi alleate che qui scaricano il materiale bellico e le truppe per il conseguimento della liberazione dell’Italia.
Cagliari, 26 giugno 1944
Partiti ieri sera da Napoli, siamo giunti a Cagliari per la solita missione di trasferimento delle truppe italiane dalla Sardegna al continente.
Ormai è una rotta che dovremo percorrere diverse volte, perché il “Montecuccoli”, che era destinato a tali traversate, è ai lavori e ne avrà per parecchio tempo.
Qui troviamo il “Garibaldi” pure adibito a tale trasporto.
Ma truppe ormai non ce ne saranno quasi più, perché la maggior parte è stata trasportata.
Napoli, 30 giugno 1944
E anche questa missione è compiuta! Trasportando circa 700 soldati di artiglieria, stamane siamo arrivati a Napoli.
È stata la solita traversata tranquilla, durata tutta la notte.
Questi soldati sono abbastanza mal messi; la maggior parte è con le divise rattoppate e sono pochi quelli che hanno le scarpe un po’ decenti ai piedi.
Ed è con queste truppe che Mussolini voleva vincere la guerra, dominare il mondo! Poveri ragazzi, fanno veramente compassione e noi facciamo di tutto per aiutarli un po’, dando loro sigarette (delle quali sono quasi completamente privi) e qualche buona cosa, insomma manifestiamo loro il nostro cameratismo di marinai.
Napoli ci riserva una novità: il Vesuvio non è adornato del suo caratteristico pennacchio di fumo.
È un po’ insolito vedere un vulcano dormiente e sembra quasi che una nota di ambiente manchi al panorama.
Io sono sempre esente per via della mia gamba che non si decide a guarire, così non ho potuto nemmeno recarmi a terra per svagarmi un po’.
Sono ormai trenta giorni che non esco più e sento il bisogno di poter fare qualche passo sulla terra ferma.

Wando Barozzi: croce al merito

Cagliari, 2 luglio 1944
Dopo esserci fermati due giorni a Napoli, siamo ritornati in Sardegna per un nuovo carico di truppa.
Ieri sera, poco prima di partire dalla città partenopea, ho assistito ad una triste scena e cioè all’arrivo di un forte contingente di prigionieri nazi-fascisti, catturati nei giorni scorsi durante la vittoriosa avanzata degli alleati.
A parte il fatto della differenza di causa, però sono sempre Italiani e fa una certa pena vedere questi giovani (per la maggior parte ragazzi di 19-20 anni) ridotti in prigionia.
Chissà che fra loro non vi sia stato magari qualche amico! È la triste situazione nostra che ci obbliga a considerare nemici i nostri fratelli.
Spero che tutto questo possa presto finire e che la nostra terra sia posta sotto un’unica bandiera.
Appena giunto a Cagliari, ho ricevuto un biglietto da Formentini che non sapevo fosse sul “Garibaldi” e così fra qualche giorno potrò trovarmi almeno con uno delle mie parti per poter fare un po’ di allegria insieme.
Gibilterra, 6 luglio 1944
Contrariamente a quanto previsto, ieri abbiamo preso il mare per la rotta ovest e oggi alle 15 siamo entrati nel porto di Gibilterra.
È la terza volta che ci fermiamo in questa località che ci è diventata ormai famigliare, ma stavolta non si sa quanto ci fermeremo, né quale sarà la destinazione della prossima navigazione.
In porto abbiamo la lieta sorpresa di trovare due sommergibili italiani, il “Galatea” ed un altro del quale non sono riuscito a sapere il nome.
Alcuni marinai sommergibilisti sono venuti a bordo e hanno raccontato le novità di Gibilterra.
Nel porto c’è pure una portaerei inglese di medie dimensioni la “Hunter” che è in procinto di partire perché ha ultimato stasera il carico di apparecchi da caccia.
La navigazione è stata abbastanza buona e solo in prossimità di Algeri si è verificato un breve allarme aereo per apparecchi di nazionalità sconosciuta.
A poche miglia dall’arrivo, abbiamo incrociato una nave ospedaliera americana e due navi neutrali svedesi.
Domani forse si potrà andare in franchigia, e così mi potrò finalmente sgranchire le gambe, dopo un mese esatto di esenzione in branda per l’infezione.
Non vedevo l’ora che la ferita si cicatrizzasse per poter camminare con comodo senza dover mandare moccoli ad ogni passo.
E spero di non aver più bisogno dell’infermeria per un pezzo».
Gibilterra, 7 luglio 1944
Finalmente l’attesa franchigia a terra.
Dopo l’acquisto di generi di necessità, quali saponette, dentifricio e sigarette, Wando si reca con due amici verso la zona limitrofa ai campi di aviazione di La Linea, dove si trova un accampamento di prigionieri italiani, tra i quali un cugino di uno dei due compagni.
A bordo viene comunicata la notizia dello scopo della missione: il trasporto in Italia dei naufraghi della R. N.“Roma” affondata nei pressi della costa sarda da apparecchi tedeschi il 9 settembre 1943.
Gibilterra, 10 luglio 1944
«Questa notte sono stati imbarcati i naufraghi della “Roma”.
Con loro vi sono pure quelli del C. T. “Vivaldi” e delle torpediniere “Pegaso” ed “Impetuoso”.
In tutto sono 1300 tra graduati, ufficiali e comuni.
Tra i naufraghi del “Roma” ho avuto la fortuna di trovare uno di Luino, Sciarini, che conoscevo già da borghese.
Da lui ho appreso i particolari del drammatico affondamento della nostra più bella corazzata da 3500 tonnellate che causò la perdita di oltre 1900 persone.
Mi ha raccontato pure che l’altro luinese imbarcato si è salvato ed è riuscito a farsi mandare in Alta Italia e forse a quest’ora sarà in seno alla sua famiglia.
Taranto, 13 luglio 1944
Dopo cinquantasei ore di navigazione, anche questa missione è finita.
Siamo partiti alle 0,30 dell’11 da Gibilterra e stamane alle 7,30 si passava il ponte grande e si entrava in Mar Piccolo.
È stata una missione abbastanza movimentata a causa dell’enorme numero di persone a bordo (circa 2200) e del mare alquanto mosso, specialmente nel canale di Sicilia.
A bordo c’era il caos.
In certi punti non ci si poteva girare, perché molti naufraghi, evidentemente stanchi dal lungo viaggio in treno da Cardas ad Algeciras, si erano messi tranquillamente a dormire sul pavimento dei locali, protetti dalla coperta personale come se si fossero trovati sul più comodo dei letti.
Fra loro vi sono molti feriti ed ustionati dallo scoppio prodotto dall’esplosione delle bombe durante quel tremendo attacco aereo che provocò la perdita della “Roma”.
Arrivati a Taranto, subito dopo aver dato fondo all’ancora, sono saliti a bordo a ricevere i superstiti gli ammiragli Oliva, Da Zara e Sansonetti i quali hanno avuto parole di incoraggiamento e di fede per questi marinai che hanno visto la morte così da vicino.
In porto troviamo, oltre al “Cadorna” e all’“Eugenio” (i quali ormai han messo le radici alla banchina) anche la corazzata “Giulio Cesare”, rientrata recentemente dall’esilio di Malta.
In rada vi sono pure le due navi da battaglia “Doria” e “Duilio” anch’esse rientrate da Malta.
Taranto, 16 luglio 1944
Oggi ho avuto una bella sorpresa che, anche se mi è pervenuta con un enorme ritardo, ha contribuito però a farmi capire ancor di più quanto sia indissolubile il legame di ricordi che mi annoda ai miei cari lontani.
Inaspettata mi è giunta una lettera della mia “bimba” che, sebbene fosse stata scritta dieci mesi fa, mi ha molto commosso e ha rinfocolato in me una profonda nostalgia dei bei giorni passati con lei.
Con il suo stile ingenuo e sincero allo stesso tempo, la mia Jò mi rende edotto del suo stato d’animo, confidandosi con me come era solita fare nelle sue lettere che rappresentavano il legame fra le nostre esistenze.
Questa lettera doveva arrivarmi a settembre, probabilmente verso il 10 o il 12, ma l’armistizio con le sue conseguenze dolorose ha troncato la nostra corrispondenza e solo dopo la liberazione di Roma essa ha potuto pervenirmi, con mesi di ritardo.
Però il mio pensiero è costantemente rivolto alla mia cara piccola e spero verrà presto il giorno in cui la potrò di nuovo stringere fra le mie braccia per dirle quanto l’ho amata durante tutto questo lungo periodo di esilio e quanto ho sofferto per la totale mancanza di notizie di lei e di tutti i miei cari».
Malta, 18 luglio 1944
Ancora una nuova missione a Malta.
Ormai la stanchezza comincia a farsi sentire e la fatica diviene intollerabile.
Questa volta dovrà essere trasportato in Italia un forte nucleo di marinai inglesi.
Si tratta di truppe in condizioni assai precarie che, per rimpinguare il loro portafoglio alquanto esausto, non esitano a vendere parte del loro vestiario.
Gibilterra, 22 luglio 1944
«Dopo neppure venti ore di sosta a Taranto, siamo ripartiti per una nuova missione.
Passando lo stretto di Messina alle 17 del 20 sembrava che ci si dovesse dirigere su Cagliari, ma un radiogramma dal Ministero ci ha fatto cambiare la rotta e, volgendo la prora a ovest, si è saputo che la meta era Gibilterra dove siamo arrivati oggi alle 13 dopo circa cinquantaquattro ore di moto.
Ma non si entra in porto: già dopo un’ora erano sottobordo alcune bettoline con il carico che dobbiamo portare in Italia.
Si tratta di una grossa partita di munizioni e questa missione si svolgerà con alquanta apprensione.
Oltre alle munizioni (proiettili, cariche e dinamite), trasportiamo pure molte casse di materiale occorrente all’industria chimica per la guerra.
Fra poche ore si ripartirà di nuovo, appena terminato il rifornimento di nafta e di acqua.
Però questo continuo navigare senza sosta comincia a pesare sulle nostre spalle, specialmente di noi fuochisti che dobbiamo rimanere otto ore (a turno) al giorno in quell’ambiente da 60 gradi all’ombra che si chiama apparato motore.
Si sperava di poter far la franchigia oggi a Gibilterra, ma a causa del servizio di navigazione che continua, non si è potuto e fra poche ore il “Mediterraneo Espresso” (come abbiamo soprannominato l’“Aosta”) sarà di nuovo lanciato a 30 miglia all’ora verso la nostra Italia dove speriamo di avere un po’ di riposo».
Malta, 24 luglio 1944
Una certa quantità del pericoloso carico è però destinato a Malta da cui si riparte diretti verso Cagliari.
Qui viene sbarcato un gruppo di marinai dell’“Eugenio” e del “Cadorna” che si recano in licenza e che erano stati costretti a rimanere a bordo dalla partenza da Taranto.
Vengono sbarcati pure i materiali esplosivi e le munizioni, un carico estremamente pericoloso tanto più che sulla rotta erano state segnalate due mine alla deriva.
«Una bella sorpresa mi attendeva stasera.
Verso le 20,30, appena smontato di macchina, ho visto un affollarsi di marinai, per la maggior parte settentrionali e ho sentito ripetere una parola “posta” e anch’io mi sono avvicinato incuriosito.
Tra i tanti nomi chiamati dal postino, ho sentito ripetere diverse volte il mio.
Ho preso le lettere e le cartoline che c’erano per me e, guardando la data, ho visto che erano tutte del settembre scorso.
Sebbene avessero dieci mesi di ritardo, ho provato viva gioia nel leggerne il contenuto e mi sembrava che tutto il cataclisma fosse annullato e fossero tornati i bei tempi di Genova dove ricevevo spesso notizie dai miei.
Tra queste missive c’era una lettera di mio padre, due degli zii, una di Jò, una di Bruna ed infine, quella che mi ha fatto maggiormente piacere, di Ginetta con la sua foto.
Sono contento di aver avuto tanta posta, perché mi sembra di ravvivare ancor di più il ricordo dei miei cari e mentre sto scrivendo queste aride righe di diario, il mio pensiero vola a loro con la speranza di poter presto riabbracciarli tutti sani e salvi».
Napoli, 1° agosto 1944
Terminati i pochi giorni di riposo concessi alla fine del mese, si riprende la via del mare.
Durante questa missione vengono trasportati a Napoli 1200 soldati tra i quali 250 Americani provenienti dalla Sardegna.
Napoli, 8 agosto 1944
«Dopo tre viaggi di “traghetto truppe” da Cagliari a Napoli, finalmente è giunto il momento di cambiare, se pur per pochi giorni, il porto di residenza.
Infatti domani sera si partirà per Taranto da dove manchiamo da quasi un mese per eseguire alcuni piccoli lavori di manutenzione ai macchinari e per un po’ di riposo.
Ieri sera però, io e due miei amici ci siamo presi un po’ di svago qui a Napoli dove, dopo aver girovagato tutto il pomeriggio in cerca d’avventure, ci siamo recati al Teatro S. Carlo dove abbiamo assistito all’opera “Carmen”.
È stata una bella serata perché gli artisti erano proprio in gamba e cantavano bene.
All’uscita dal teatro (alle 22 circa) sono cominciate le dolenti note perché, appena fatti cinquanta metri, abbiamo incrociato la ronda che ci ha fatto rapporto per circolazione senza permesso serale (essendo la franchigia fino alle venti).
Arrivati al porticciolo di S. Lucia dove ci si doveva imbarcare, non abbiamo più trovato l’imbarcazione, essendo già ritornata a bordo per l’ultimo trasporto.
Fortunatamente la diesel dell’ “Abruzzi” ci ha caricati e ci ha trasportati a bordo dove siamo arrivati alle ventitré.
Se non ci fosse stata questa imbarcazione, saremmo dovuti rimanere a terra fino a stamattina con il seguito doloroso di punizioni che si può immaginare.
Invece è andata bene e con qualche giorno di “Villa Triste” me la caverò benissimo».
Taranto, 10 agosto 1944
Dopo circa un mese di assenza, si ritorna a Taranto, per eseguire solo le riparazioni indispensabili.
Come a Napoli, si scorgono in porto molte navi alleate e tutto fa supporre che si prepari qualche colpo grosso.
Infatti, oltre alle unità mercantili, vi sono parecchie navi da guerra, tra cui due corazzate.
Grande confusione in città per la presenza di un così gran numero di marinai, sfociata qualche giorno prima in un violento tumulto tra Francesi e Americani.
Bilancio: tre francesi massacrati e molti feriti da ambo le parti.
A causa di tali zuffe, la franchigia viene ridotta a sole quattro ore nel pomeriggio.
Messina, Ferragosto 1944
«Oggi ferragosto (che ricorda la festa cara al santuario di Trezzo) siamo tornati di nuovo a navigare, dopo quattro giorni di sosta per piccoli lavori.
Partiti stamane all’alba da Taranto, siamo entrati nel porto di Messina stasera alle diciassette.
È la prima volta che metto piede in un porto siciliano: peccato che ci fermiamo solo poche ore per sbarcare il personale di passaggio che abbiamo trasportato da Taranto.
Mentre eravamo in navigazione, durante le varie ore della giornata, andavo col pensiero a casa dove in quello stesso momento si sarà svolta la festa tradizionale di Dumenza e mi sentivo molto commosso.
Immaginavo i miei al santuario a pregare perché un nostro riavvicinamento sia prossimo e pure io ho formulato in cuor mio la speranza di poterli riabbracciare almeno per Natale».
Napoli, 16 agosto 1944
Dopo una tappa di sole sette ore a Messina, il “Mediterraneo Express” riparte per la metropoli partenopea, ma il sogno di una franchigia ferragostana svanisce nel nulla.
Si riparte, infatti, per Malta per imbarcare un contingente di soldati e di marinai inglesi, circa 1500.
Gli Italiani non resistono però alla tentazione di tuffarsi in mare e raggiungere la riva per la soddisfazione di mettere piede in terra di Malta.
Poi, dopo una piacevole pausa, si riprende la traversata a nuoto fino alla nave.
La presenza di alcuni ambulanti che si spingono sottobordo con le loro caratteristiche barchette, molto simili alle gondole veneziane, offre la possibilità di fare il consueto rifornimento di sapone.
Del resto non è forse vero che La Valletta viene denominata la “Venezia del Mediterraneo”? Napoli, 18 agosto 1944
«Tornati da Malta, ieri si è potuto fare una franchigia in città.
Dopo esserci recati al teatro “Margherita”, io e l’immancabile Piccinini vi trovammo due belle ragazze napoletane.
Dopo aver fatto la loro conoscenza, abbiamo assistito insieme allo spettacolo di varietà della compagnia di Carlo Moreno.
Finito lo spettacolo, ci siamo recati al “Vomero” con le nostre amiche e, dopo qualche ora di allegria, siamo ritornati in città che era già notte.
Dato che l’ora del rientro dalla franchigia era già passata da un pezzo e mezzi per tornare a bordo non ce n’erano più, abbiamo deciso di fare uno strappo alla regola, rimanendo a terra tutta la notte per rientrare alla mattina presto.
Dopo essere stati di nuovo a zonzo dalle parti di Posillipo con le due napoletanine e aver cenato in una trattoria, nella bella serata piena di luna, abbiamo atteso l’alba ancora molto lontana con le nostre amiche.
Si sa come vanno a finire certe passeggiate, specie se le compagne sono di costumi tutt’altro che difficili, di modo che alle due ci siamo incamminati verso il porto di S. Lucia dove abbiamo trascorso le poche ore di attesa del sole stesi su una panchina.
Stamane poi alle sette, con il primo mezzo di bordo che veniva a terra, siamo ritornati alla nave proprio mentre suonava la sveglia tra gli sguardi divertiti dei compagni che ci vedevano rientrare a quell’ora.
Cagliari 20 agosto 1944
Dopo due soli giorni di permanenza a Napoli, siamo di nuovo tornati in Sardegna dove questa volta ci fermeremo parecchi giorni per riassettare completamente la nave.
Stamattina il capo reparto mi ha chiamato assieme a Piccinini in segreteria e, dopo una ramanzina tra il serio e il faceto, ci ha detto che per stavolta la nostra scappata notturna di due giorni fa l’avrebbe perdonata, ma attenti ad un’altra volta.
Io credo però che tale benevolenza sia in rapporto con il ferro da stiro che gli stiamo costruendo.
Non so se mi spiego!...
Cagliari, 25 agosto 1944
Oggi l’ammiraglio Favero, comandante attuale degli incrociatori, in sostituzione dell’ammiraglio Oliva, è venuto a bordo per la rituale visita di imbarco e ci ha detto parole di incoraggiamento per l’arduo compito che stiamo svolgendo.
L’“Aosta”, in un tempo abbastanza prossimo, riprenderà il suo vero compito di nave da guerra con lo stesso ardimento dimostrato nei quattro anni passati.
(Che ci sia in vista un trasferimento nel Pacifico?) Napoli, 16 settembre 1944
Oggi riprendo il mio diario dopo un po’ di tempo di interruzione.
Dopo una sosta di dieci giorni a Cagliari, abbiamo ripreso a fare la spola con Napoli.
È questo il quarto viaggio in quindici giorni.
A Cagliari ho visto rientrare in porto il piroscafo “Lucrino” da 9500 tonnellate, che era stato colpito da una mina al largo di Capo Matapan.
Appena entrato in porto, dato che era notevolmente sbandato sulla sinistra, i genieri del G. C. hanno tentato di raddrizzarlo pompando la zavorra d’acqua, ma dato che l’esplosione aveva notevolmente indebolito l’ossatura di centro della nave, non ha retto e piegandosi a V si è adagiato sul fondo, così un’altra nave mancherà alla già misera nostra flotta mercantile.
Questa mattina, a tre ore dall’arrivo a Napoli, è successo un grave incidente alla caldaia 3 perché, mentre era in funzione, un violento incendio si è sviluppato alla pompa spinta-nafta dilagando poi per il locale caldaia e solo per il pronto intervento della squadra di sicurezza l’incendio non è divampato.
Ma intanto la caldaia è fuori uso, perché sono bruciati molti tubi di vapore e la valvola di pressione principale è saltata per la depressione, così che ora siamo ridotti a navigare con sole cinque caldaie fino a che non si rientrerà a Taranto per i necessari lavori.
Taranto, 5 ottobre 1944
A Taranto inizierà un periodo di lavori che durerà circa un mese.
Forse sarebbe stato più gradito a tutti un soggiorno a Napoli, dato il comportamento non troppo garbato della popolazione locale nei confronti dei militari, ma, come al solito, il marinaio propone e la Marina dispone.
Taranto, 8 dicembre 1944
Ed ecco concluso il primo giro di traghetto.
Stamane alle otto abbiamo gettato l’ancora in Mar Grande, per poche ore però.
Già le bettoline della nafta e dell’acqua sono sottobordo per un rapido rifornimento.
Nel pomeriggio imbarcheremo circa 850 marinai inglesi con un forte quantitativo di materiale che dovremo trasportare ad Alessandria d’Egitto.
Mentre scrivo, sono di guardia in macchina e a poppa stanno celebrando la S. Messa per l’Immacolata.
A questa ricorrenza provo una grande nostalgia, pensando che pure al mio paese nella graziosa chiesetta delle suore si svolgerà la stessa cerimonia, poiché questa “Madonna di dicembre” si può dire la festa di Dumenza.
Immagino che i miei in quest’ora mi penseranno e si ricorderanno di me nelle loro preghiere alla nostra cara Madonnina affinché ci si debba rivedere e riabbracciare presto a casa.
Mare Mediterraneo, 9 dicembre 1944
La navigazione per Alessandria procede a fatica: si cominciano già ad avvertire gli effetti del mare della Sirte e non è improbabile che fra poche ore molti saranno a pagliolo.
Gli Inglesi imbarcati ostentano un’aria di prepotenza che potrebbe degenerare in spiacevoli incidenti.
Alessandria d’Egitto, 11 dicembre 1944
Stamattina alle nove siamo arrivati nel porto di Alessandria, rifacendo la stessa rotta percorsa circa quindici mesi fa, quando fummo costretti a riparare in un porto inglese in seguito alle clausole armistiziali.
Quanto tempo è passato da allora e quanti avvenimenti si sono susseguiti in questo lungo periodo, eppure mi sembra ieri quando entrammo nel settembre 1943 in questa munita base navale.
La navigazione questa volta è stata piuttosto lunga, perché già da ieri sera eravamo in vista del porto, ma, dato che era notte, gli sbarramenti erano già stati chiusi e non si poteva entrare, così abbiamo dovuto navigare tutta la notte in questi paraggi a velocità ridotta, aspettando l’alba.
Fortunatamente il mare si era un po’ placato, poiché per tutta la giornata del 9 e parte del 10 abbiamo incontrato mare forza 7 con tutte le conseguenze per lo stomaco che si possono immaginare.
Molti, specialmente tra gli Inglesi, facevano pena ed erano letteralmente a pagliolo.
Ma erano anche giustificabili, poiché la violenza delle onde era tale che il paraonde dei tubi lanciasiluri di dritta è stato divelto da un’ondata e c’è mancato poco che lo portasse via.
Ma ora tutto è passato e si sta procedendo allo sbarco dei marinai inglesi che fanno parte della portaerei N° 809 che è ai lavori a Taranto, e del materiale che portano con loro.
Sottobordo sono venuti i commercianti al minuto egiziani ed i “trallazzisti” (e ce ne sono parecchi a bordo) si sono già precipitati per comperare pietrine, caffè e merce commerciabile che trasporteranno in Italia, costituendo così il mercato nero, un mercato che invece dovrebbe essere stroncato subito, poiché esso è una delle più dolorose piaghe che infestano la nostra tanto martoriata Patria.
Vorrei anch’io comperare qualche ricordo (e ci sono delle belle cosette con eleganti disegni che andrebbero bene per Bruna), ma purtroppo il mio portafoglio sta attraversando un periodo di siccità e non posso fare nessuna spesa.
Sarà per un’altra volta. N.B.
Ieri sera eravamo a circa 70 miglia da Alessandria ed è successo un’avaria alla circolazione dell’olio così che abbiamo dovuto fermare una macchina.
Taranto, 14 dicembre 1944
Stamattina siamo rientrati a Taranto.
La navigazione si è svolta benissimo anche perché non avevamo a bordo nessun estraneo.
Malta, 18 dicembre 1944 Dopo quattro giorni di sosta a Taranto per qualche lavoro in caldaia e in macchina, siamo partiti per Malta dove siamo arrivati stamattina con un carico di circa 500 soldati alleati.
Il giorno prima di ripartire da Taranto, è successa una disgrazia ad uno di bordo che gli ha causato la morte.
Si tratta del comm. Merlo Angelo di Genova che, mentre transitava per via Di Palma, è stato investito da una macchina alleata ed è morto sul colpo.
Siamo molto dispiaciuti per la sua scomparsa, poiché era un bravo ragazzo, sempre allegro ed eravamo buoni amici.
Taranto, 22 dicembre 1944
Siamo di nuovo nella simpatica(?) città di Taranto dove molto presumibilmente trascorreremo il Natale.
Pare impossibile, ma con tante città che ci sono nell’Italia liberata, fra le quali Catania, Messina, Napoli, ecc.
si debba venire sempre qua a battere la testa.
Chissà che bel Natale sarà! Senza notizie da casa da quindici mesi e senza la possibilità di averne per altri sei o più, si può immaginare lo stato d’animo mio e della maggioranza di quelli che ancora hanno le famiglie in mano tedesca.
Speriamo che finisca presto questa maledetta situazione.
Scrivo con il petto ancora dolente e gonfio per l’iniezione anti-peste che ci hanno fatto a Malta l’altro ieri così che un po’ di febbre mi rimane addosso, ma il più è passato e una giornata come quella di ieri speriamo non si rinnovi più.
Taranto, 26 dicembre 1944
E anche questo Natale è passato! È il secondo Natale che faccio lontano da casa e, come quello scorso, siamo nella stessa situazione.
Senza notizie da casa da quindici mesi, il mio pensiero è costantemente ai miei famigliari che forse in questo momento penseranno a me e si augureranno (come pure io) che il giorno in cui potrò tornare a casa sia prossimo.
La sera della vigilia l’ho trascorsa con alcuni miei amici lombardi.
Mettendo insieme un po’ di soldi a fatica, siamo riusciti a combinare una cenetta tanto per consolarci dei nostri guai.
Abbiamo mangiato qualche tacchino e abbiamo bevuto in proporzione, così che alla mezzanotte, quando è nato il Bambino, eravamo abbastanza allegri di spirito, ma più malinconici di prima, poiché si pensava ai nostri a casa che in quel momento si recavano alla Messa di mezzanotte secondo la consuetudine a tutti cara.
La mattina del 25 invece ci siamo tutti cambiati in tenuta di ordinanza e alle 11 ci siamo recati a poppa dove il cappellano ha celebrato la S. Messa.
Al termine, il comandante ci ha riuniti in assemblea per porgerci i suoi auguri, cercando di attenuare con elevate parole di incoraggiamento la pena di questa lontananza da casa.
A mezzogiorno ci è stato servito un rancio speciale, in verità molto abbondante, e nel pomeriggio, non essendo franco, me ne sono andato in branda a far svaporare i fumi delle bevande che in larga misura ci hanno distribuito a mezzogiorno.
Così anche questo Natale è passato ed io mi auguro che il prossimo lo possa trascorrere alla mia Dumenza, nell’intimità della mia famiglia e (perché no) con vicino la mia “bimba” che spero mi ricorderà ancora e mi avrà conservato tutto il suo affetto come ho fatto io per lei.
Augusta, 29 dicembre 1944
Che navigazione dura questa da Taranto ad Augusta! Mare forza otto.
Si sapeva dai bollettini meteorologici che da quattro giorni infuriava una violenta tempesta nel Mare Jonio e purtroppo abbiamo dovuto affrontarla in pieno ed ora, dopo circa dodici ore di lotta col mare, siamo in porto, ma che dolori durante queste ore di navigazione! Partiti ieri sera da Taranto dalla banchina di S.
Vito dove abbiamo imbarcato truppe inglesi da trasportare a Malta, alle venti fino alle due di stanotte, si è navigato con mare mosso, ma sopportabile.
Il bello è venuto allora, annunciato da violente mareggiate che imponevano alla nave forti sbandamenti dei quali uno è stato particolarmente aspro.
Si è avuta l’impressione che la chiglia avesse urtato contro uno scoglio, invece era stato l’effetto delle enormi ondate che si abbattevano sulla prora e con simile mare abbiamo navigato fino ad Augusta dove siamo entrati poco fa.
Ripartiremo fra poco per Malta che raggiungeremo stasera, salvo complicazioni, dato che si attraversa una zona pericolosa per via degli sbarramenti di mine.
La Valletta (Malta), 29 dicembre 1944 – ore 17
Finalmente è terminata anche questa navigazione.
Il mare si è sempre mantenuto a forza otto e il risultato è stato che un’ondata ha asportato anche la plancia guida-siluro di sinistra.
Ad Augusta abbiamo imbarcato i naufraghi di un piroscafo slavo, affondato in seguito alla violenza del mare, i quali sono stati tratti in salvo dal “Granatiere” e dal “Calliope” e trasbordati sull’ “Aosta” per trasportarli qui a Malta dove saranno rimpatriati.
Sembra che nell’opera di salvataggio, due uomini del “Granatiere” siano andati perduti, dimostrando come la solidarietà dei marinai sia alta anche a costo di sacrificio.
La Valletta, 30 dicembre 1944
Oggi, essendo di turno, ho potuto mettere piede in franchigia a Malta.
Io e due miei compagni lombardi ci siamo recati in città e ci siamo divertiti qualche ora in uno dei molti “tabarin” e, dopo aver fatto acquisti di oggetti di prima necessità, siamo rientrati a bordo con la soddisfazione di aver visitato anche questa martoriata terra in cui si vedono palesi i segni degli innumerevoli bombardamenti compiuti dalla nostra aviazione quando eravamo ancora in guerra con gli Inglesi.
La Valletta, 31 dicembre 1944
E anche questo sfortunato anno 1944 è giunto alla fine.
Speriamo che il ’45 riporti la tanto sospirata pace ed il ritorno alle nostre famiglie lontane dalle quali siamo divisi da questo flagello di guerra che ha completamente rovinato la nostra cara Patria.
Il Comandante ci ha riuniti in assemblea stamattina e nel porgerci i suoi auguri di un prossimo riavvicinamento alle nostre famiglie, ci ha riepilogato tutta l’attività svolta dall’ “Aosta” nel 1944 che è la seguente: Missioni compiute: 68, delle quali 6 in Atlantico Miglia percorse: 39.
800 Ore di fuoco: 2457 Personale nazionale trasportato: 19.
760 tra militari e civili Personale alleato trasportato: 5200 tra militari e civili Materiale trasportato: 14500 tonnellate tra cui 30 automobili.
È stata un’attività che indica in quale misura noi abbiamo cooperato per la rinascita della nostra Italia.
Infatti, in Atlantico con il nostro servizio di pattugliamento contro i violatori del mare, abbiamo permesso alle navi inglesi di essere usate per lo sbarco in Normandia, mentre le missioni di trasporto veloce in Mediterraneo hanno dato la possibilità (cooperando con gli altri incrociatori) di trasferire le divisioni dislocate in Sardegna in continente e nel frattempo anche di trasportare moltissime famiglie di profughi e di sfollati dal continente alla Sardegna e alla Sicilia.
Inoltre, abbiamo rimpatriato i naufraghi della R. N. “Roma” dalla Spagna e trasportato un bel numero di soldati alleati da tutti i punti del Mediterraneo.
Di questa nostra opera siamo orgogliosi, perché con questo abbiamo contribuito alla riedificazione della nostra Patria».
Anno 1945 Napoli, 4 gennaio 1945
La prima missione del nuovo anno, Malta-Napoli, si rivela molto ardua per via del mare forza 7.
Non si tratta certamente di una gita di piacere, tanto più che viene trasportato a bordo un forte quantitativo di tritolo per gli alleati.
Messina, 7 gennaio 1945
«Per la prima volta da che sono sull’Aosta, ho visto un mare così grosso: sembrava il caos: acqua dal cielo e ondate gigantesche che si abbattevano sulla nave, imprimendole forti sbandamenti laterali.
Si faticava a tenersi in piedi e i colpiti dal mal di mare erano molti.
Dovevamo partire da Napoli la sera del cinque, ma le condizioni del mare lo sconsigliavano.
Un “Liberty” americano, non potendo più governare per l’uragano, è andato in secca sugli scogli di Capri ed ora giace appruato in posizione molto critica.
È la prima volta che vedo gli elementi così scatenati e confesso che mi hanno fatto molta impressione.
Siamo arrivati a Messina da pochi minuti e, dato che ci attracchiamo alla banchina, è facile che si faccia qualche ora di franchigia anche qui.
In porto vi sono pure il “Granatiere”, il “Calliope”, il minuscolo “Giovannini” e due sommergibili.
Napoli, 8 gennaio 1945
Troppo poco ci siamo fermati a Messina e la franchigia è stata necessariamente breve, ma comunque quelle quattro ore mi hanno permesso di visitare anche questa città.
È molto rovinata dai bombardamenti e più che in ogni altra parte sono vive ancora le ferite provocate due anni fa dai “Liberator” specialmente la zona della stazione, del porto, del lungomare è molto colpita e dal filo dell’acqua emergono le sovrastrutture delle molte navi qui affondate tra le quali una grossa motonave e due ferry-boat.
Insomma la città è molto provata dalla guerra e fa pena vederne le rovine.
Subito ieri sera siamo ripartiti per Napoli dove abbiamo avuto la sorpresa di vedere il Vesuvio e tutte le montagne del Sannio ricoperte di neve caduta durante la tempesta dell’altra notte.
Così, dopo due anni, rivedo la neve che dalle mie parti sarà abbondante e sulla quale spero di poter quest’inverno essere a casa a sciare come ai bei tempi di borghesia.
Malta, 12 gennaio 1945
Di nuovo siamo qui a La Valletta.
Navigazione ottima.
La Valletta, 13 gennaio 1945
Stamane abbiamo fatto cambio d’ormeggio per andare accanto alla motonave francese “Felix Russel” dalla quale abbiamo imbarcato un contingente di marinai inglesi i quali rimarranno a bordo usufruendo dell’ “Aosta” come di una caserma.
La Valletta, 14 gennaio 1945
Stamane, essendo arrivata in porto un’altra motonave francese adibita a caserma, la “Ville d’Oran” (Città di Orano”), molti dei marinai che avevamo a bordo sono sbarcati mentre quelli che porteremo in Italia domani sono rimasti.
Messina, 15 gennaio 1945
Dopo sei ore di navigazione con mare agitato, siamo ritornati a Messina, senza però fermarci a lungo.
Infatti, dopo aver imbarcato dei “Royal Marines” (operazione che è durata quattro ore), siamo ripartiti in serata per Napoli dove arriveremo domani mattina.
Napoli, 16 gennaio 1945
Siamo di nuovo nella città del Vesuvio, ma per poco, perché è prevista la partenza per stasera.
Una parte dell’equipaggio è andata a terra in franchigia per poche ore.
Stamane è successo un fatto che non fa troppo onore all’ “Aosta”.
I “tralazzisti” di bordo, approfittando di una nostra motobarca che andava a terra, l’avevano caricata dei loro sacchi di caffè, comprati a Malta a fior di biglietti da mille.
Ma la polizia americana, avendolo saputo, li ha fermati non appena hanno toccato terra.
Si è proceduto al fermo del caffè e si calcola che la perdita dei “tralazzisti” per 500 Kg di caffè sia pari a £ 600.000.
Biserta, 17 gennaio 1945
Dopo aver lottato a lungo con il mare piuttosto mosso, siamo arrivati con una navigazione di quattordici ore a Biserta per imbarcare un contingente di truppe inglesi da trasportare a Malta.
Si ripartirà stasera stessa.
Malta, 18 gennaio 1945
Finalmente siamo arrivati! Si tira un sospiro di sollievo, poiché siamo stati sballottati dal mare per tutta la nottata.
Però a Biserta il mare ci ha giocato un brutto tiro.
Mentre in rada si procedeva a salpare le ancore, dal momento che le ondate erano alquanto forti, quella di dritta rimaneva impigliata sul fondo e, malgrado gli sforzi riuniti degli argani, non si sganciava dal fondo, finché un colpo di mare non ha spezzato la catena.
Siamo partiti con un’ancora di meno.
Taranto, 22 gennaio 1945
Dopo una discreta navigazione siamo arrivati a Taranto dove, appena avremo sostituito l’ancora e caricato il materiale necessario ai lavori, si partirà per Napoli dove avremo un periodo relativamente lungo di lavori.
Napoli, 24 gennaio 1945
Stamane, dopo una navigazione di quindici ore, siamo arrivati a Napoli e finalmente ci fermeremo.
Alle due di stanotte circa, abbiamo incontrato le navi che ritornavano dalla Spagna e cioè l’“Attilio Regolo”, il “Mitragliere”, il “Carabiniere” e l’“Orsa”.
Queste sono le navi che, dopo aver raccolto i naufraghi della “Roma”, del “Vivaldi” e del “Da Noli” ripararono in porti spagnoli dove furono internate.
Abbiamo attraccato al molo 31 S. Vincenzo accanto ad un incrociatore americano di vecchio tipo.
Napoli, 18 febbraio 1945
Oggi, dopo circa un mese di terraferma a Napoli, si è celebrata la “giornata del partigiano e del soldato” e le autorità locali hanno invitato un gruppo dell’ “Aosta” alla manifestazione che si è svolta al teatro S. Carlo.
Ci sono stato anch’io e per la prima volta ho assistito alla rappresentazione del Barbiere di Siviglia di Rossini.
È stata una bella festa e siamo tornati a bordo abbastanza soddisfatti».
Napoli, 22-3-1945
Perché tutti possano adempiere al precetto pasquale, il cappellano conduce i suoi giovani marinai al santuario di Pompei.
Al momento religioso fa seguito quello laico, con una visita agli scavi della città sommersa dalla lava del Vesuvio.
Napoli, 1° Aprile 1945
«Oggi terza Pasqua che trascorro in marina.
Per solennizzarla un po’, io e un gruppo di amici abbiamo deciso di usufruire di un breve permesso al fine di pernottare fuori dalla nave e poter dopo tanti mesi dormire tranquillamente in un letto fra le lenzuola.
Infatti, nel pomeriggio di Pasqua, siamo scesi a terra muniti di vettovaglie per due giorni.
Siamo andati all’Opera, al S. Carlo dove abbiamo assistito al Rigoletto.
Poi, dopo una buona cena, siamo andati a dormire.
Non so rendere l’idea della soddisfazione provata nel coricarmi comodamente in un letto.
Fatto sta che al mattino ci sono voluti i paranchi per farmi alzare.
Al pomeriggio ci siamo recati al Vomero con l’intenzione di assistere alla partita di calcio Napoli-Internaples.
Ma qui abbiamo fatto i conti senza l’oste, in questo caso rappresentato da otto belle ragazze che si recavano ai Camaldoli di Napoli in gita.
Con il nostro usuale spirito di avventura le abbiamo seguite e siamo così divenuti marinai di montagna.
Abbiamo passato il resto della giornata in simpatica e allegra compagnia, rientrando a Napoli a sera tarda.
Ai Camaldoli (per ricordo) abbiamo scattato delle fotografie che ci serviranno a ricordare per molto tempo uno dei più bei giorni passati in marina.
Castellamare di Stabia, 4 aprile 1945
Stamane , dopo esserci imbarcati su una corvetta, la C. 47 (Sfinge), siamo arrivati a Castellamare di Stabia.
Siamo un gruppo di centocinquanta dell’Alta Italia.
Qui godremo un po’ della vita di terra, poiché viene accordata una discreta libertà di movimento.
Alla mattina ci saranno delle belle gite in montagna oppure a Sorrento e dintorni, mentre al pomeriggio si potrà girare per Stabia in cerca di avventure che sembrano abbastanza probabili, poiché le belle ragazze non mancano.
Napoli, 13 settembre 1945
Inizio questo mio diario di un periodo che, molto probabilmente, sarà l’ultimo che trascorrerò in marina.
Tale periodo ha avuto inizio il 25 maggio u. s. e, se tutto andrà bene, finirà in ottobre.
Dunque, dopo la liberazione dell’Alta Italia avvenuta per merito degli eroici partigiani il 25 aprile, noi settentrionali abbiamo aspettato ansiosi l’ora di partire per la licenza dopo due anni di reclusione in questa terra bruciata.
Un’ansia più che giustificata, poiché divisi dalla nostra terra natia per venti lunghi mesi, senza notizia alcuna dalla nostra famiglia, volevamo alla fine riabbracciare i nostri cari e trascorrere un po’ di tempo a casa, lontani da tutto ciò che potesse in qualche modo essere in relazione con la Marina.
E ciò finalmente si è avverato il giorno 25 maggio.
Siamo sbarcati dall’ “Aosta” poche ore prima della sua partenza per Malta e siamo stati aggregati sul “Duca degli Abruzzi” dove ci hanno preparato la licenza e la sera del 25 siamo partiti tramite ferrovia verso casa.
Dopo otto giorni di viaggio a bordo di una tradotta fino a Cesena, di un camion fino a Milano e poi ancora in treno fino a casa, sono arrivato finalmente in seno alla mia famiglia.
Immaginarsi la gioia mia e dei miei nel rivedermi dopo tanto tempo.
È indescrivibile!

by Emilio oliba